Panorama Panorama
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15 libri che toccano l’anima (da mettere sotto l’albero)
by Terry Marocco on 21 Dicembre 2024 at 19:30
1) Agatha Christie, Fiabe Gialle, Meridiani Mondadori, pp.1840, euro 80 Basta sapere che i dieci racconti e romanzi che compongono l’antologia sono a cura di Antonio Moresco, per avere la certezza che è da collezione. Definita dallo scrittore: “Estrema, realistica e mitico fiabesca”, la celebre giallista era una donna sfuggente, che tutta la vita si sottovalutò. O finse di farlo. Iniziò a scrivere per solitudine e per evitare di parlare alla gente. Geniale. Sulla copertina appare come una casalinga, come amava definirsi. Ma una seconda cover la ritrae bambina con i boccoli biondi, testimone delle crudeltà dell’infanzia che racconterà nelle sue storie, solo all’apparenza semplici. Non regalatelo, ma leggetelo, quando finalmente le feste ci avranno abbandonato. 2) Liz Moore, Il Dio dei Boschi, NNEditore, pp.544, euro 22 Un thriller costruito con estrema intelligenza, scelto dal New Yorker come tra i migliori dell’anno, un inno malinconico alla giovinezza perduta. Estate 1975, sui monti Adirondack, un’adolescente ricca e ribelle scompare dal camp estivo fondato dalla sua importante famiglia. In quel bosco anni prima era sparito il fratello. Il dramma familiare è in agguato, segreti e bugie, inquietudine e speranza. La scrittrice americana osannata dalla critica, ha raccontato di essersi ispirata a un fatto reale. Gli amanti del true-crime possono iniziare a fremere. Una scrittura limpida, realistica, ipnotica. Neanche i tortellini in brodo di cappone vi distoglieranno dall’arrivare alla fine. 3) Maurizio Cucchi, La scatola onirica, Mondadori, pp.152, euro 17 Una scatola che raccoglie sogni, meraviglie, ma anche “questo tempo incerto”, l’oblio silenzioso, la vacuità. L’ultima opera del grande poeta milanese è uno scrigno prezioso diviso in sette sezioni, dove ritrovare la poesia delle vite minime, pur sempre vite, spesso le nostre vite. Sfuggente, in bilico tra sogno e veglia. Riflessivo e nostalgico per quegli amici spariti o sparsi: “Il vento li ha portati via”. Per il tempo che scorre senza tregua, travolge i sentimenti, lascia brandelli di ricordi. “Io sono come il salice selvaggio” scrive ne La sventura d’inverno. Nella semplicità di una media quiete Cucchi ci mostra la verità, ma in modo obliquo. Come deve fare la poesia. Da regalare, punto. 4) Cédric Sapin-Defour, Sugli Sci, Salani, pp.144, euro 13. Un viaggio meditativo, un’ode poetica, una danza infantile. Lo sci d’escursione visto come il piacere di svuotare la mente, di lasciarsi attraversare dalla natura incontaminata e silenziosa. L’autore francese dopo il successo di Il suo odore dopo la pioggia, sul rapporto unico con il cane, ci regala un piccolo gioiello sull’alpinismo. Momento di riscoperta di se stessi e della bellezza misteriosa delle montagne innevate e inaccessibili. La salita, dopo aver preparato lo zaino, la fatica e l’attesa dell’inebriante discesa. Così rapida, fugace, come sono le cose belle e molto attese. Una metafora perfetta della vita. Lo amerete, anche se oltre lo spazzaneve non siete mai andati.5) Giulia Depentor, Dinastia, Feltrinelli, pp.256, euro 20. La ricerca delle proprie radici ha sempre qualcosa di spinoso, doloroso e alla fine, è inevitabile, si scoprono segreti celati. Negli ultimi anni l’albero genealogico è diventato una sorte di ossessione per molti. La scrittrice va sulle tracce del suo passato come fosse una detective paziente e accurata. Ricostruisce attraverso polverosi archivi parrocchiali, ambasciate straniere, foto d’epoca, la storia familiare. Con uno stile semplice e chiaro ci insegna un metodo, ed è questa la parte più interessante e divertente del romanzo, che ognuno può utilizzare per capire da dove veniamo. Solo conoscendo chi siamo stati, sapremo davvero dove stiamo andando.6) Han Kang, Non dico addio, Adelphi, pp.256, euro 20 Dire di cosa parla l’ottavo (e anche il migliore) romanzo della scrittrice sudcoreana, vincitrice del Nobel per la Letteratura, non è facile. È la storia dei terribili massacri sull’isola di Jeju in Corea alla fine degli anni Quaranta, trentamila civili uccisi e molti altri torturati e imprigionati. Ma è anche la storia di un grande amore. Immenso, estremo, sussurrato. È l’atrocità, è una luce accesa e dolente nell’abisso dell’animo umano. Poetico, doloroso, intenso, di una bellezza assoluta. Sogno e realtà si mischiano quasi in una disorientante ghost-story. Una prosa gelida, essenziale, meditativa che ferisce e a tratti raggela. Siete avvisati: dovete leggerlo, ma sotto il piumone.7) Fedor Dostoevskij, I Demoni, Einaudi, pp.896, euro 15. Leggere (o rileggere) questo imprescindibile classico a Natale ha un senso profondo. Ci obbliga a chiederci cosa è il male oggi, chi sono i demoni? Profetico, apocalittico, nichilista, potente, ma anche umoristico, pieno di indimenticabili battute fulminanti, per menti sofisticate, il capolavoro (secondo noi) del più grande romanziere russo scava nel Male assoluto. E nello stesso tempo racconta di passioni viscerali, intrighi, tradimenti, liti furibonde. Labirintico e disorientante. Un dialogo sulla complessità dell’uomo moderno, su quello che accadrà (ed è accaduto). “L’uomo è infelice perché non sa di essere felice”. Basterà leggere queste righe per poi tornare al vitello tonnato con animo più consapevole.8) Anthony Trollope, I figli del duca, Sellerio, pp.1016, euro 22 Per chi conosce il genio pacato e ironico di Trollope sarà la conclusione del suo Ciclo Politico. Per chi, ahimè, non lo ho mai letto sarà una sorpresa assoluta. Perché nessuno come lui descrive la società vittoriana meglio di una serie Netflix. Sulla scena ci sono i figli del Duca di Omnium, ormai rimasto vedovo e spaesato in un mondo che sta inevitabilmente cambiando. Tutti e tre sono più o meno degli sconsiderati in cerca di una collocazione in una società avida e classista. Saga familiare, satira sociale, acuta descrizione di ogni sorta di degenerazione del potere. Sullo sfondo Londra nel massimo dello splendore. Da regalare alla zia con manie aristocratiche (ce ne è sempre una). 9) Claire Keegan, Quando ormai era tardi, Einaudi Stile Libero Big, pp.96, euro 13. Tre storie brevi, racconti intrecciati di donne. Amore e disamore, rimpianti e attese, desiderio e solitudine. La violenza come una serpe sottile resta nascosta tra le pieghe. Con una prosa cristallina, senza sbavature né orpelli, maestra nell’arte della sottrazione, Keegan scava nell’oscurità delle nostre relazioni. Una donna sposata vorrebbe provare ancora le gioie del sesso, la vigilia di un matrimonio si rivela la fine della storia. E una scrittrice si trova ad affrontare un uomo che mette in crisi la sua identità. Come in un racconto di Alice Munro, non c’è pietà per chi spera. Non c’è pietà neanche per chi salta il tombolone per finire il libro.10) Raymond Chandler, La signora nel lago, Adelphi, pg.283, euro 19. Philip Marlowe, l’investigatore privato che per sempre avrà il volto tormentato di Humphrey Bogart, si trova impigliato in un mosaico perverso. La moglie di un riccone è sparita. In una ragnatela di femme fatale, tradimenti e intrighi del potere, i cadaveri si moltiplicano e la trama diventa sempre più nera. Un mondo cinico e dolente, immobile e amorale, quello del re assoluto dell’hard boiled, scrittore raffinato e colto, che ti lascia addosso la sensazione fredda che niente ritorni veramente al suo posto. E che l’animo umano sia molto peggio di quello che ci si immagina. Una volta che lo avrete iniziato, nulla vi fermerà neanche il panettone farcito ai marroni.11) Nita Prose, Il Portafortuna, La Nave di Teseo, pp.144. euro 16. Stephen King l’ha definita la protagonista più interessante degli ultimi tempi. È Molly Gray, cameriera ai piani di un hotel di lusso, con la mania per l’ordine e la pulizia. È tempo di feste natalizie al Regency Grand Hotel, dove lavora. Addobbi, decorazioni, il consueto quadretto di letizia. Eppure, da quando ha perso la nonna ha sempre detestato le festività, anche se al suo fianco c’è un uomo, Juan Manuel. Ma qualcosa non torna, neanche quell’uomo così allegro e affascinante è davvero ciò che sembra (e di questo nessuna lettrice si stupirà). Un giallo natalizio divertente e leggero, perché di leggerezza abbiamo bisogno come non mai. Da leggere veloce sgranocchiando il “torone”. 12) Catherine Guérard, Renata vattelappesca, Ventanas, pp.170, euro 16 Un monologo interiore scritto senza un punto, come un’unica frase consecutiva. Da leggere senza fermarsi. Renata si licenzia dal posto di governante e parte per un viaggio on the road sulle strade di Parigi. Un inno alla libertà, un atto di ribellione alla ruota del criceto dove siamo tutti costretti. Sfrontato e “candido” come la scatola di cartone con i calzini spaiati che si porta dietro. Poco si sa della scrittrice, morta nel 2010. Si dice fosse un amore del presidente Mitterand. Il romanzo, del ’67, ha vinto le Prix Mémorables, dedicato agli autori riscoperti. Delizioso e affilato con un finale da lacrimuccia. Da regalare a tutti quelli che detestano il pigiamone di flanella. 13) Rick Bass, Diezmo, Mattioli1885, pp.204, euro 18 L’epica della frontiera all’ennesima potenza. Lo scrittore texano, un tempo geologo petrolifero, racconta la storia vera della tragica spedizione Mier, nel 1850. Due amici verranno catturati dai messicani, chiusi in carcere e costretti a subire l’atroce Diezmo: una crudele selezione, dove un prigioniero su dieci verrà estratto a sorte e poi giustiziato. “Il Texas è nato nel sangue”, scrive l’autore. E qui ne scorre tanto. Pagine magistrali, un inno alla violenza, una preghiera contro gli orrori della guerra. L’amicizia, la nostalgia delle radici, il desiderio della sopravvivenza. Da regalare a chi ama Cormac McCarthy. E a chi dopo il pranzone sente ancora il bisogno di emozioni forti. 14) Cees Nooteboom, Rituali, Iperborea, pp.256 Euro 18 Lo scrittore olandese è diventato un’icona della letteratura moderna, una voce unica, paragonata dalla critica a Borges e Calvino. Inni, il protagonista, è un uomo senza qualità di fine millennio. Depresso e insopportabile. E ci assomiglia in modo fastidioso e reale. Si affaccia su un mondo che gli appare come “una fortezza smantellata”. Una società dove il rituale ha perso di significato. Serve solo a tenere a bada la paura della morte. Meditativo, zen, emozionante e suggestivo, ma soprattutto ironico e disincantato. Sembra di trovarsi immobili sul baratro, ad aspettare il fluire effimero del tempo. Mettetelo direttamente sul comodino, a portata di mano.15) A cura di Luigi Ghirri, Gianni Leone, Enzo Velati, Viaggio in Italia, Quodlibet, pp 132, euro 42 Compie 40 anni una delle pietre miliari della storia della nostra fotografia contemporanea. Quodlibet lo ripubblica integralmente, riportando in vita un volume ormai introvabile. Venti tra i migliori fotografi italiani riuniti da quel genio di Ghirri (tra loro Basilico, Jodice, Barbieri) composero un ritratto sentimentale del Belpaese. Un Grand Tour attraverso luoghi marginali, così consueti da sembrare invisibili. Universi fittizi, cartoline di un mondo forse solo immaginato. Come l’arcobaleno che nasce, o forse muore, nella pozzanghera di una strada di campagna.
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Tortora, alle porte della cultura
by Egidio Lorito on 21 Dicembre 2024 at 18:30
Per ricerche legate alla storia e alle tradizioni calabro-lucane, dove terminano gli attuali confini amministrativi della Basilicata ed iniziano quelli della Calabria, una conversazione con il prof. Aleardo Dino Fulco è immancabile. L’illustre docente, lucano di origini e calabrese d’adozione, mi riceve nel suo studio, un’autentica miniera di ricerche sul territorio locale cui ha dedicato articoli e saggi, convegni e seminari, anche grazie alla lunga militanza nel mondo della scuola, come docente e preside. Una guida, una sorta di “Virgilio” in un singolare viaggio nel punto esatto dove “il passato” aveva lasciato tracce imperiture, aprendo le porte della cultura. Anzi “alla cultura”…Professore, diamo le giuste coordinate geografiche, intanto.«Primo centro della costa calabro-tirrenica per chi proviene da nord, Tortora è un passaggio obbligato per i grandi circuiti turistici dell’entroterra di ben tre Regioni, (Campania, Basilicata e Calabria): l’intero abitato -una superficie di 57,88 kmq su cui vivono circa 6.000 abitanti- si presenta diviso su tre livelli comprendenti la marina con l’abitato di più recente costruzione, la collina che ospita il centro storico e la zona più spiccatamente “montana”, sul cui territorio sono disseminate ben 11 frazioni, dai nomi più disparati, quali Massacornuta, San Nicola, Carro, Acqua Li Sparti, Melara, Pizinno I° e II°, San Sago, San Pietro, Valle del Grillo e Santo Quaranta».Una varietà paesaggistica di grande impatto visivo…«Un’area variamente articolata che offre al visitatore, in qualunque periodo dell’anno, una scelta ampia e suggestiva: importante snodo geografico, all’interno delle estreme propaggini occidentali del Parco Nazionale del Pollino, sulle sponde delle prime acque del Tirreno cosentino, Tortora mostra indubbiamente una particolare duttilità paesaggistica».Non è difficile conoscerla e apprezzarla questa varietà paesaggistica: la fascia costiera permette, infatti, di imbattersi nell’euforbia, nella ginestra, nel leccio, nel ginepro, nel mirto, nell’oleandro, nella buganvillea, senza dimenticare la celebre “primula di Palinuro” presente -come rarità- lungo l’intero arco di costa del Golfo di Policastro -ora Campano, ora Lucano, ora Calabrese…- e, salendo di quota, in boschi di cerro, acero, castagno e faggio. Non da meno le presenze faunistiche, grazie all’ambiente marino, a quello fluviale del Noce ed all’area montana che culmina ai 1274 m. s.l.m. del Monte Serramale, naturale confine con il territorio di Lauria, in Basilicata.Professore, le origini di Tortora sono antichissime!«Accennando solo ai siti preistorici di Rosaneto -con presenze antropiche risalenti a ben 200 mila anni fa- e di Torre Nave -le cui grotte furono rifugio per gli abitanti di 35 mila anni fa- il primo insediamento storico risale al VI° secolo a.C. grazie agli Enòtri: della loro presenza si è potuto dar conto grazie agli scavi -iniziati nel 1990- ed alla ricostruzione delle tombe nella necropoli di San Brancato, il tutto grazie all’encomiabile attività dell’archeologo Gioacchino Francesco La Torre (illustre accademico dell’Università di Messina, scomparso prematuramente nel 2022, nda) e della Sovrintendenza di Reggio Calabria».Tortora è il primo comune della Calabria, ma un tempo era territorio dei “Lucani”«La presenza dei Lucani durante il IV° secolo a.C. è anch’essa testimoniata da campagne di scavo che hanno restituito alla luce decine di tombe i cui resti avrebbero trovato collocazione nel primo museo allestito all’interno del Palazzo di Casapesenna: nel 214 a.C. tutta l’area passò sotto il controllo romano e la colonia di Blanda Julia, in onore della gens Julia, testimonia quest’altro fondamentale passaggio storico del nostro territorio. Anche in questo caso i recenti interventi di ricerca hanno restituito alla nostra conoscenza diretta una struttura architettonica di primissimo piano, forse il “foro”, il luogo di incontro pubblico di quell’antico insediamento romano».E proprio all’epoca romana risale uno dei più preziosi e controversi ritrovamenti, alla fine del 1969…«Si tratta di un reperto archeologico di fondamentale importanza ai fini dell’identificazione del sito di Blanda Julia, dopo un trentennio di scavi, studi e ricerche: la base per il monumento eretto dal populus della colonia romana al “Duoviro quinquennale Marco Arrio Clymeno” non rappresenta solo una testimonianza di ricchissimo valore storico, ma vuole offrire al “populus” di oggi uno strumento di conoscenza di alcuni significativi aspetti della sua storia antica e del patrimonio culturale ricco di valori morali e civili».Il mausoleo funerario di San Pergolo, riportato alla luce nel 1999, allunga la lista del patrimonio archeologico: insomma, a Tortora ovunque si scavi -sino alle ultime campagne- non è difficile riportare alla luce un pezzo di Storia!«I Visigoti di Alarico, i Bizantini, i Longobardi e i Saraceni, misero a dura prova l’esistenza di Blanda Julia: profughi blandani risalirono la Fiumarella che lambisce il Palècastro e si attestarono sull’estremità dello sperone roccioso a picco sul fiume, dove fondarono Julitta, diminutivo di Julia, quasi a voler sancire la nascita della nuova, piccola Blanda Julia; la successiva conquista dei Normanni porterà una notevole espansione dell’abitato nel XI° secolo d.C., periodo in cui compare per la prima volta il nome “Tortora”, dovuto sicuramente all’enorme presenza delle tortorelle, riportate, oggi, nello stemma civico del Comune».Ancora importanti “presenze” storiche: come il 3 settembre del 1860…«Quel giorno Tortora è entrata di diritto nella studio della storia contemporanea grazie alla sosta di Giuseppe Garibaldi che dopo aver conquistato Sicilia e Calabria, in marcia verso Napoli, sostò alcune ore presso il palazzo Lomonaco-Melazzi, oggi uno dei siti maggiormente rappresentativi del centro storico: piazza Pio XII° accoglie il visitatore che potrà proseguire per i vicoli sino a piazza Plebiscito dove è situata la Chiesa di San Pietro Apostolo, oppure sino al Palazzo di Casapesenna, già sede del primo polo museale civico; anche la cappella delle Anime del Purgatorio -la più antica chiesa del paese- merita una visita».Intanto ha appena compiuto un anno di vita la Biblioteca comunale “Giovanni Chiappetta” alla cui guida la giovane docente Antonella Palladino ha le idee ben chiare.«La Biblioteca rappresenta un gesto d’amore per il borgo, dove far incontrare tradizioni, storia e cultura: l’iniziativa è diventata riflesso di valori che vanno oltre la custodia dei libri e la valorizzazione e promozione della lettura. Un presidio culturale che necessita di fiducia e che in questo primo anno di vita, ha restituito gratificazioni sottoforma di coinvolgimento e stima. Un piccolo successo che tale si può definire solo in termini di condivisione, quando l’ “Io” diventa “noi”».Coinvolgimento, iniziative, eventi dedicati alla lettura senza limiti di età…«Progettare per i giovani del territorio attraverso una rete di collaborazioni con il solo obiettivo di offrire percorsi di crescita efficaci; promuovere la conoscenza del territorio partendo proprio dal millenario centro storico. Accogliamo la gioia e la spensieratezza dei bambini, la disponibilità degli adulti, la tenerezza degli anziani…. Tre diverse generazioni destinatarie della nostra “operazione culturale”, una vera rivoluzione gentile tra musica, arte e libri».E a proposito di eventi legati alla promozione culturale, il centro storico può ora contare sul restaurato Chiostro del Monastero della Santissima Annunziata, come ci ricorda la consigliera con delega alla cultura Gabriella Fondacaro.«Il Chiostro rappresenta un punto di interesse fondamentale per i turisti che decidono di visitare il nostro borgo, in quanto dotato di grande fascino e di una storia che suscita sempre grande attenzione. Per questo motivo la nostra amministrazione, guidata dal Sindaco Antonio Iorio, ha deciso di collaborare con la Soprintendenza fin dall’inizio della gestione governativa, al fine di ripristinare un luogo incantevole che meritava di ritrovare la propria bellezza e, quindi, la sua dignità di bene culturale».Con una storia millenaria alle spalle, gli eventi culturali rappresentano il giusto completamento del percorso politico. Insomma una “politica culturale” al passo dei tempi…«La politica non può prescindere dalla cura del settore culturale, perché quest’ultimo è fondamentale per creare una società sana che sappia fare propri i valori del vivere civile e della cura dei beni della comunità. Per questo motivo presentiamo un programma culturale che metta in primo piano i punti di interesse del borgo, ponendoli al centro di una serie di eventi che contribuiscono a dare maggiore forza ai luoghi in cui si svolgono. Luoghi, questi, che a loro volta continuano a trarne forza grazie alla loro potente millenaria bellezza. Il Chiostro, in particolare, è teatro di presentazioni di libri e di concerti di musica classica, capaci di rapire i sensi dei nostri ospiti».TUTTE LE NEWS DI VIAGGI
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Dalla Siria alla Libia, Mosca arma le coste del Mediterraneo vicine all’Italia
by Sergio Barlocchetti on 21 Dicembre 2024 at 17:51
Il ritiro delle forze russe dalla Siria potrebbe diventare un problema per l’Italia poiché il trasferimento avviene verso la Libia e questo può costituire una minaccia alla sicurezza nel Mediterraneo centrale. Lo ha affermato il ministro della Difesa Guido Crosetto ieri a La Repubblica, sottolineando: “Le navi e i sottomarini russi nel Mediterraneo sono sempre una preoccupazione, e ancora di più se invece di essere a mille chilometri di distanza sono a due passi da noi.” Di fatto i russi stanno mobilitando dalle basi di Tartus e Hmeimim, come dimostrerebbero le immagini ricavate dai satelliti che mostrano unità russe precedentemente attraccate a Tartus in movimento verso porti libici come quello di Tobruk, dove Mosca può contare sull’appoggio delle truppe del generale Khalifa Haftar. Per Mosca la perdita di Tartus sarebbe un grosso guaio, ma mentre di tale destinazione finale delle navi ancora non c’è conferma, diversamente un cospicuo numero di voli militari russi è atterrato in territorio libico, molti più di quanti solitamente vengono effettuati per ragioni di forniture militari, addestramento, eccetera. In particolare gli occhi dei satelliti sono puntati sulla base libica di al-Khadim, a est di Bengasi, dove sarebbero atterrati una decina di cargo provenienti da Mosca e dalla Bielorussia. Dai quali sarebbero stati sbarcati veicoli blindati, camion militari, equipaggiamenti, sistemi missilistici S-300 e S-400, e personale per incrementare il numero dei soldati di Mosca da 900 a circa 1.500. Non è una novità in assoluto, poiché la Libia è sempre stata la tappa intermedia dei voli cargo militari tra la Russia e il resto dell’Africa, dove Mosca sostenere i golpisti militari della regione subsahariana. Riducendo la presenza in Siria, viene spontaneo pensare che Putin voglia rafforzarla proprio dall’altra parte delle nostre coste. L’attenzione ora passa alle decisioni di Haftar, da sempre corteggiato da Putin, che qualora accogliesse la marina militare russa a Tobruk darebbe un pessimo segnale alla Nato. Negli ultimi mesi Haftar ha incontrato alcuni funzionari statunitensi che volevano discutere di riunificare la metà orientale della Libia, da lui controllata, con la regione occidentale gestita invece da un’amministrazione riconosciuta dall’Onu a Tripoli. L’incaricato d’affari statunitense in Libia, Jeremy Berndt, ha mantenuto aperti i canali diplomatici incontrando due dei figli di Haftar a Bengasi, poiché costoro sarebbero sempre più influenti nelle decisioni del padre. Al momento non paiono esserci prove di alcun accordo formale tra Haftar e Putin per una presenza militare russa in Libia, mentre ne esiste uno che prevede la presenza di militari istruttori delle forze russe nella Libia orientale per addestrare l’Esercito nazionale libico (Lna), il cui capo è ovviamente lo stesso Haftar, che però in passato aveva negato ai russi la disponibilità a incrementare la loro presenza nei territori da lui controllati. Sul fronte siriano la Russia aveva già ricevuto garanzie dalle forze Hts che hanno cacciato il presidente Assad sul mantenimento del contratto di locazione della durata di 49 anni per l’utilizzo del porto di Tartus, un accordo siglato nel 2017 e dunque ufficialmente ancora in vigore, anche se pare che il governo che si sta formando in Siria voglia comunque ridiscutere la questione. Ma non è un mistero che la nuova amministrazione siriana preferirebbe aprire i suoi porti alle navi militari turche per sostituire la presenza strategica russa, e certamente la presenza di russi in Libia a Erdogan non piace, poiché da quelle parti ha sempre voluto essere protagonista, per esempio armando le truppe dell’ovest con i suoi droni. Dall’altra parte della Libia, il primo ministro del governo con sede a Tripoli, Abdul Hamid Dabaiba, ha affermato di aver respinto qualsiasi tentativo di trasformare la Libia in un centro per conflitti tra grandi potenze, sottolineando che il paese “Non è un posto per regolare i conti internazionali, abbiamo preoccupazioni sullo spostamento dei conflitti internazionali in Libia e sul fatto che possa diventare un campo di battaglia”. Dabaiba ha quindi affermato che il suo governo non darà alcun permesso ai russi per trasferire assetti militari nella sua regione, poiché sarebbe un motivo per riaccendere la crisi interna alla Libia e ha immediatamente convocato l’ambasciatore russo.Una delle preoccupazioni di Daibaba è seguire la linea che gli hanno consigliato Usa e Regno Unito, dopo che avevano imposto una pressione economica senza precedenti alla regione a causa della corruzione presente a tutti i livelli. Uno di questi provvedimenti riguarda la sospensione da parte della Federal Reserve Bank di New York delle transazioni in dollari con la Banca centrale libica fino a quando non verrà nominato un revisore indipendente specializzato nella lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo. Neanche a dirlo, il sospetto è quello di trovare presto prove del contrabbando di petrolio e di legami finanziari con Mosca.TUTTE LE NEWS DI DIFESA E AEROSPAZIO
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I migliori alcolici da servire (o regalare) a Natale
by Mariella Baroli on 21 Dicembre 2024 at 17:30
Le festività natalizie sono il momento ideale per sperimentare nuovi sapori e condividere drink speciali con i propri cari. Gli spirits e gli amari, con la loro ricchezza e varietà, sono perfetti per creare atmosfere accoglienti e brindisi memorabili. Dai distillati più raffinati per gli intenditori a bottiglie uniche da regalare a chi ama il buon gusto, questa gallery è pensata per ispirarti nella scelta dei migliori alcolici per il Natale e le feste. Che si tratti di un amaro da sorseggiare dopo un pasto o di un gin ricercato per un cocktail esclusivo, scopri la nostra selezione di spirits e amari, ideali per celebrare con stile e originalità.Animo, il primo whiskey «secondo Mazzetti» dal profumo ricco, ampio, con note di lievito e morbida tostatura che spazia fra il vanigliato e i sentori di pasticceria. Jack Daniel’s Tennessee Honey ha un gusto reso unico grazie alla delicatezza data da un leggero sentore di miele, senza rinunciare all’inconfondibile carattere di Jack.Rum Diplomático, uno dei rum più prestigiosi e apprezzati a livello internazionale, lancia la sua Box Natalizia per il Natale 2024, una proposta esclusiva per le festività di quest’anno. Glenfiddich, il Single Malt Scotch Whisky più premiato al mondo*, ha avviato una collaborazione con l’artista francese André Saraiva per lanciare Grand Château, la sua più recente edizione limitata della Grand Series. Lo spirito di Jägermeister distillato in due colori: Herbal Green e Culture Orange, in collaborazione con Pantone®. Due bottiglie in edizione limitata, dove ciascun design rappresenta un lato unico del carattere Jägermeister.Per natura ricercato ed esclusivo, come mostra l’onorificenza della Royal Warrant e la sua bottiglia esagonale dal deciso color verde smeraldo, per questo Natale, No.3 Gin si veste con un’esclusiva e artistica box dai colori molto vivaci.L’intensità, la ricchezza, ma anche l’armonia e l’equilibrio di OF Amarone Barrique, che 25 anni fa ha innovato il mondo della grappa combinando il proprio carattere distintivo con la franchezze e l’eleganza dei grandi distillati internazionali, conquisterà tutti i palati.Elephant Aged Gin, caffè etiope cold brew e un distillato di caffè con note di zucchero di canna, torrone e mirtillo rosso: sono queste le tre anime che rendono unico Elephant Gin Coffee Liqueur.In collaborazione con la Andy Warhol Foundation for Visual Arts, ABSOLUT Vodka celebra il ritrovamento della tela serigrafando la sua iconica bottiglia con le energiche pennellate dell’artista e un pattern di sfumature impreziosite dalla firma originale e da un ritratto del vate della pop art. Tanqueray No. TEN, gin simbolo universale dell’eccellenza si unisce in una esclusiva collaborazione con Alessi per realizzare il regalo perfetto che unisce il gusto inconfondibile del distillato a quello dell’arte e creatività Made in Italy.
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Jago, scultore nonostante l’arte di oggi
by Vittorio Sgarbi on 21 Dicembre 2024 at 15:30
Comunque lo si voglia giudicare, sarebbe difficile non considerare Jago un fenomeno. Uno di quelli che non si possono ignorare come se non esistessero, secondo costume abituale di certa critica d’arte, la più elitaria e autoreferenziale nel guardare solo al proprio hortus conclusus, salvo capire poco del mondo con cui abbiamo a che fare, probabilmente non solo quello dell’arte. Jago esiste, enormemente di più di quelli che ancora si sforzano di ignorarlo. Esiste perché esiste la sua opera, il suo modo di comunicare che non si limita, nel rispetto di una tradizione secolare occidentale e più specificatamente italiana che da un punto di vista tecnico vorrebbe continuare ad evidentiam, alla sola cosa scolpita (non fa solo sculture, ma sono indubbiamente le sculture il centro della sua opera), ma lo estende allo scolpire come atto di primaria, vitalistica dimensione per metterlo in relazione con tutto ciò che può essere correlato produttivamente ad esso, dallo spettacolo all’economia, in questo senso con spirito molto più in linea con i tempi globalizzanti che ci vedono oggi coinvolti.Jago esiste, soprattutto, perché questo suo modo aggiornato, globale di fare arte mettendo assieme antico e moderno riflette un sentire non solo espressivo, ma più generale rispetto al mondo attuale che viene condiviso da un pubblico internazionale di estimatori dalla portata inconsueta, da popstar in confronto a quello di cui gode la stragrande maggioranza degli artisti contemporanei, e, cosa ancora più rara, con un numero notevolissimo di giovani e di non competenti al suo interno. È per me una ragione d’orgoglio averlo premiato poco più che ventenne, e poi presentato alla Biennale di Venezia nel 2011 su segnalazione della veggente Maria Teresa Benedetti. Se tutto ciò è stato possibile è perché Jago non ha inteso subire gli eventi che lo hanno interessato, è voluto essere lui un fenomeno che si doveva conoscere e di cui bisognava parlare, anche da parte di chi non è aduso a sapere e discutere di arte. Si è fatto forte, Jago, della scaltrezza e della determinazione di chi ha capito precocemente che nell’epoca della civiltà non sempre civile del web e dei social sarebbe insufficiente essere lo scultore più capace della Terra per guadagnarsi automaticamente il centro del palcoscenico, ci vuole anche altro, e questo altro bisogna inventarselo con la stessa concentrazione, la stessa meticolosità, la stessa verve creativa che si riserverebbe a un’opera scultorea di grande impegno.Scaltrezza e determinazione che potrebbero essere colte in trasparenza fin dagli aspetti preliminari del porsi di Jago a noi; nella temerarietà, per esempio, con cui Jacopo Cardillo da Frosinone ha ripudiato in arte il nome anagrafico per adottare quello archetipico del più perverso fra i personaggi shakespeariani, la personificazione del male fine a sé stesso, così come lo vedeva, fra i tanti, anche Benedetto Croce, o anche l’«onesto», per dirla come l’ingenuo Otello, che esemplifica alla perfezione la spregiudicatezza cara a Machiavelli di cui dovrebbero munirsi gli uomini politici. Se è vero che nomen omen quando sono gli altri ad attribuircelo, tanto più lo sarà quando il nome lo si sceglie di propria iniziativa. Escludendo che abbia voluto chiamarsi in tal modo perché vuole apparirci provocatoriamente spregevole (mi pare evidente che Jago appartenga alla schiera di coloro che, con disposizione peraltro sanissima, preferiscono piacere piuttosto che repellere), dovremo pensare che ci sia qualcosa di machiavellico in lui? Potrebbe anche essere, non certo nel senso che ha dato corpo alla stereotipata caratterizzazione shakespeariana, naturalmente, ma in quello che tende a concepire il proprio muoversi nello scacchiere del mondo non come evenienza dettata da fattori più o meno casuali o da volontà altrui più o meno determinanti, ma come effetto di un’avveduta strategia personale. Non è cinico Jago, né un arido calcolatore, ma hai ugualmente l’impressione che riesca a mantenere sempre il polso delle situazioni in cui si trova nell’affrontarle non manca mai di sapere già in partenza cosa vuole fare e dove vuole andare a parare, mai azzardando salti al buio o voli senza rete anche quando sembrerebbe esattamente il contrario. È un pregio fra i più lodevoli, sia ben chiaro, non certo un difetto per cui additarlo. Misura un’intelligenza, una ragion pratica di cui troppo spesso gli artisti ritengono di potere fare a meno, privilegiando altre qualità che non sempre a buon diritto andrebbero valutate più importanti.Jago si è formato trovando in sé stesso quell’accademia che l’istituzione non riusciva a fornirgli fino in fondo, perseguendo come motivo pressante della sua ispirazione l’ineludibilità del confronto con l’antico, col mestiere dello scolpire così come codificato dal Rinascimento – mai dimenticare che la scultura è stata la sua arte primigenia che ha finito per nutrire tutte le altre – fino al secolo scorso, con l’idea della centralità del genere umano e della nobiltà della sua forma che un tale magistero intellettualmente sottende. Ben presto, però, Jago si convince che non basta ammirare per imparare. Bisogna farlo, a un certo punto, per sfidare, come in fondo facevano i grandi maestri che non volevano emulare gli antichi, volevano superarli, facendo scaturire da questo intento la modernità nel suo valore più autentico. Prendiamo, per esempio, un’opera come il Figlio velato. Dal punto di vista scultoreo, si tratta della ennesima competizione stabilita – è così anche con la sui generis michelangiolesca Pietà a Santa Maria in Montesanto e con la prossima, berniniana, ma anche giambolognesca Aiace e Cassandra, per dire di altri casi non meno evidenti – con un famoso capolavoro del passato, il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero a Napoli, che sviluppava fino alle estreme conseguenze un espediente tecnico-espressivo inventato dal veneto Antonio Corradini, la resa delle forme umane intraviste attraverso un velo aderente, quasi da Simbolismo preconizzato. Virtuosismo puro, quello di Sanmartino, così sovrumano da fare immaginare che il velo non fosse stato scolpito nel marmo, altrimenti si sarebbe spezzato per forza, ma ottenuto attraverso un bagno chimico pietrificante escogitato dal principe alchimista Raimondo di Sangro, committente dello scultore. Non avrei dubbi sul fatto che proprio questo sia stato il motivo di maggiore attrazione avvertito da Jago: quel Cristo non incarna sé stesso come Dio fattosi uomo, ma in quanto opera d’arte. E lì il prodigio, lo spettacolo della metamorfosi resa permanente – è il tema centrale affrontato da Sanmartino, il corpo che si fa spirito allo stesso modo di come la materia si fa arte – ancora in grado di lasciare a bocca aperta a due secoli e mezzo dal suo allestimento. Se si è veri scultori, bisogna sapere fare altrettanto.
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Pancreas, la cura possibile
by Luca Sciortino on 21 Dicembre 2024 at 13:30
Il cancro al pancreas fa parte dei famigerati «tumori killer», quelli con la più bassa probabilità di sopravvivenza. Ma, grazie ad alcune nuove scoperte, in futuro potrà essere rimosso da questa categoria. La caratteristica più interessante emersa di recente è che un farmaco usato per il trattamento dell’asma ha mostrato, sia in cellule da coltura sia in animali di laboratorio, una capacità sbalorditiva di contrastare la proliferazione tumorale. È il frutto di una ricerca dalle potenziali applicazioni nella cura di altre neoplasie che è stato pubblicata lo scorso luglio sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research a firma di un gruppo internazionale coordinato dall’Istituto di Genetica e Biofisica Adriano Buzzati Traverso del Cnr di Napoli, tra i quali Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb) e Cristina D’Aniello (Cnr-Igb). «La nostra ricerca fa parte degli studi cosiddetti di “riposizionamento”, cioè quelli che mirano a impiegare nella cura del cancro farmaci utilizzati per altre patologie» spiega D’Aniello. «Ciò che ci ha guidato è l’osservazione che tra i pazienti asmatici vi è una minore incidenza del tumore al pancreas. Era quindi ipotizzabile che la budesonide, il glucocorticoide più impiegato per l’asma, potesse avere effetti positivi come coadiuvante nel trattamento dell’adenocarcinoma duttale pancreatico, la forma più letale e frequente di tumore al pancreas».A questo punto i ricercatori ne hanno sperimentato l’effetto nell’impedire la proliferazione, la migrazione e l’invasività delle linee cellulari del cancro del paziente coltivate in laboratorio, e lo sviluppo delle cellule del tumore umano in topi di laboratorio. «Il farmaco inibisce il loro ciclo cellulare» precisa D’Aniello. «Più in dettaglio, budesonide e glucocorticoidi inducono una sorta di riprogrammazione delle cellule cancerose, così da contrastare il loro metabolismo glicolitico e trasformarlo in metabolismo di tipo ossidativo, bloccandone di conseguenza la crescita». Quello che ci si chiede è quali vantaggi potranno trarne i pazienti. «Siamo ancora nella fase della sperimentazione preclinica, ma ci auguriamo che il passo successivo sarà l’avvio degli studi clinici. Il vantaggio in tal caso è che si sa già che la budesonide, essendo utilizzata in varie terapie, come quella per l’asma, non ha effetti tossici sulla salute. Se i risultati saranno positivi, potrà essere impiegata anche in combinazione con altri farmaci, in particolare quelli della chemioterapia come gemcitabina, nab-paclitaxel, fluoroderivati e derivati dal platino». Lo studio lascia fuori un 20 per cento dei tumori al pancreas, quelli neuroendocrini, ma D’Aniello è ottimista: «Bisognerà estendere la ricerca, ma come mostrano i nostri risultati su altri tipi tumorali, come quello della mammella, è possibile che il budesonide funzioni anche nel cancro al pancreas di natura neuroendocrina e speriamo in altri tipi di neoplasie solide che coinvolgono organi diversi». Il tumore al pancreas ha un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 12,5 per cento circa, ma dagli ultimi dati disponibili questa percentuale appare in crescita. La maggior parte delle volte il cancro insorge nei tessuti di questo organo, che è deputato alla digestione e alla produzione di insulina. Più raramente, si presenta prima nelle cellule endocrine del pancreas che forniscono enzimi importanti per il metabolismo del glucosio, come l’insulina.A seconda delle caratteristiche e dello stadio del tumore, i medici lo trattano con chirurgia, radioterapia o chemioterapia, senza molto successo. Accanto alla budenoside, ci sono poi ulteriori e promettenti linee di ricerca. «Altri farmaci a bersaglio molecolare sono già in uso per alcuni sottotipi di tumore pancreatico, come gli inibitori della tirosin-chinasi che colpiscono vari recettori coinvolti in segnali di cellule tumorali. Ricerche parallele hanno come scopo trovare nuovi bersagli molecolari e individuare marker diagnostici. Le sequenze di migliaia di tumori al pancreas, con le tantissime mutazioni appena scoperte, forniranno indizi utilissimi per terapie innovative. E poi dalle cure immunoterapiche, in fase di forte sviluppo, arriveranno presto risultati» conclude D’Aniello. L’immunoterapia è una nuova strategia che si basa sull’idea che il sistema immunitario si possa potenziare e mettere in condizioni tali da riconoscere le cellule tumorali con l’obiettivo di distruggerle. Il concetto centrale è abbastanza semplice: le difese dell’organismo riconoscono come estranee le cellule tumorali e scatenano la reazione dei linfociti T, come fossero soldati. Ma il cancro reagisce spegnendo alcuni interruttori del sistema immunitario, chiamati «check-point». L’immunoterapia, basata sull’impiego di anticorpi, disinnesca le capacità dei linfociti T di annientare le cellule «nemiche». Tutte queste speranze si stanno concretizzando anche grazie a «organoidi» che riproducono il tessuto tumorale. Avere una simulazione fedele del cancro del malato in laboratorio permette infatti ai medici di sperimentare nuove terapie pensate ad hoc per un dato paziente. Così, in pochi anni, vedremo finalmente aumentare la percentuale di coloro che sopravvivono a questa terribile malattia per più di cinque anni.
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Il cesto di Natale, simbolo di condivisione e tradizione
by Federico Minghi on 21 Dicembre 2024 at 13:00
Con l’arrivo del Natale, le tradizioni tornano a rivestire un ruolo centrale, e tra queste, il cesto di Natale si distingue come un regalo sempre apprezzato. Questa pratica, radicata in una cultura di condivisione e convivialità, si arricchisce ogni anno con nuove delizie, trasformando ogni cesto in un autentico scrigno di prelibatezze gastronomiche.Il cesto di Natale rappresenta un tributo al meglio della produzione alimentare italiana. Al suo interno si trovano dolci tradizionali come il panettone e il pandoro, simboli della dolcezza delle festività e del calore delle riunioni familiari. Questi classici, insieme a specialità locali come i cavallucci di Siena e i ricciarelli, offrono un assaggio della ricca varietà delle tradizioni culinarie italiane.Tuttavia, non è solo la dolcezza a contraddistinguere il cesto di Natale. Gli amanti della gastronomia possono anche scoprire una selezione di prodotti salati di alta qualità. L’olio extravergine d’oliva, simbolo della nostra terra, e un buon vino locale sono elementi imprescindibili, perfetti per accompagnare i pranzi e le cene festivi. I sott’oli, con le loro verdure e specialità, aggiungono un tocco di sapore e freschezza, rendendo ogni assaggio un’esperienza unica.La creazione di un cesto di Natale richiede attenzione e cura nella scelta degli ingredienti, poiché ogni dettaglio è importante. Si tratta di un gesto che va oltre il semplice dono: è un modo per esprimere affetto e gratitudine, un invito a riunirsi e condividere momenti di gioia. Non sorprende quindi che molte famiglie italiane vedano nel cesto di Natale un’opportunità per riscoprire il valore della convivialità, specialmente in un periodo in cui si desidera rallentare e godere della compagnia dei propri cari.Secondo recenti sondaggi, sempre più italiani scelgono di regalare un cesto di Natale, poiché rappresenta molto più di un semplice assortimento di prodotti alimentari. È un simbolo di legami, tradizioni e valori condivisi, un modo per riunire le persone attorno a tavole imbandite e momenti di festa. Con l’approssimarsi del Natale, il cesto diventa così un messaggero di buone intenzioni, un invito a celebrare l’essenza della vita: la condivisione e l’amore.Se da un lato è piacevole acquistare un cesto preconfezionato, i dati rivelano che un italiano su due intende avvalersi di strumenti di intelligenza artificiale generativa per facilitare la scelta dei regali, e il 62% effettuerà i propri acquisti online. Tuttavia, è ancora più gratificante comporlo e personalizzarlo, selezionando personalmente i migliori prodotti, un modo per dialogare con i produttori e sostenere le nostre eccellenze.Nel cesto di Natale non può mancare il Panettone, come quello di Iginio Massari, il Re dei lievitati, caratterizzato da una lavorazione complessa che dura 65 ore, con quattro lievitazioni e due impasti. Si possono scegliere varianti come il panettone integrale caramello e pere o quello con lievito madre di Storie di Dolci, una piccola pasticceria artigianale di Monteroni d’Arbia, al pistacchio e cioccolato bianco. Un’altra opzione è il Panettone del rinomato pizzaiolo Tommaso Vatti della Pergola a Radicondoli, realizzato rigorosamente con lievito madre e ingredienti ricercati, tra cui una versione con olio extravergine d’oliva.Tra gli elementi immancabili nel cesto natalizio c’è anche il Pandoro, come quello della storica pasticceria Nannini di Siena, accompagnato da altre delizie come la torta di cecco o i ricciarelli. Per chi desidera aggiungere un tocco goloso, i ricciarelli al cioccolato di Peccati di Gola sono un’ottima scelta.Non possono mancare i formaggi, come quelli di Forme d’Arte, con creazioni uniche come il Blu di Mucca al Negroni o il formaggio affinato al tè nero, oltre a specialità al cucchiaio con tartufo o cioccolato.In un cesto che si rispetti, è fondamentale includere una bottiglia di vino, come il Brunello di Montalcino di Costanti, il Nobile di Montepulciano di Dei o il Chianti Classico di Vignamaggio. Immancabile l’olio extravergine di oliva biologico dell’Azienda La Volpe Castel Porrona, Cinigiano Grosseto, un extravergine di altissima qualità, frutto della tradizione familiare Giannetti Pacifici; un olio dal sapore autentico, intenso e aromatico, che racchiude tutto l’amore e la cura dedicati alla terra, ideale per esaltare il sapore dei piatti e prendersi cura della salute.Nel cesto natalizio vanno assolutamente messi anche i salumi come il cotechino della storica macelleria Belli di Torrita o le salsicce di cinghiale della salumeria Salvini di Siena.Per i più golosi, si può arricchire il cesto con un pregiato tartufo della celebre azienda Savini Tartufi di Forcoli (Pisa) o con i sott’olio e la giardiniera dell’Az Agr il Bottaccio di Venturina Terme, vicino Piombino.Il cesto di Natale non è solo un regalo, ma un vero e proprio simbolo di tradizione, affetto e convivialità. Ogni elemento al suo interno racconta una storia, esprime una passione e invita a condividere momenti speciali con le persone care. In un periodo in cui il tempo sembra scorrere veloce, dedicare un momento per comporre un cesto personalizzato diventa un gesto significativo, capace di risvegliare ricordi e creare nuove esperienze.Con il Natale alle porte, lasciamoci guidare dalla magia di questo gesto, trasformando ogni cesto in un messaggero di buone intenzioni e calore umano. Che sia un invito a sedersi insieme attorno a una tavola imbandita, a condividere risate e storie, e a celebrare la bellezza della vita: perché, alla fine, è proprio questo che rende il Natale un momento così speciale.
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Nordcoreani contro russi: il paradosso di una guerra che sacrifica i suoi stessi alleati
by Lara Ballurio on 21 Dicembre 2024 at 11:42
Nel labirinto oscuro della guerra russo-ucraina, il campo di battaglia si trasforma in una scacchiera insanguinata, dove pedine bianche e nere si confondono agli occhi di giocatori inesperti. Soldati nordcoreani, giovani reclute costrette a sostenere la Russia, non solo cadono in massa, ma a volte sbagliano mossa, sparando contro i propri alleati russi. È il drammatico paradosso di un conflitto dove ogni pezzo sulla scacchiera rappresenta una vita sacrificabile, manovrata da mani lontane e indifferenti.Mosca e Pyongyang, come due giocatori disperati, muovono i loro pezzi non con strategia, ma con la cieca necessità di sopravvivere. Su questa scacchiera confusa, dove la lingua, la cultura e il caos trasformano il bianco e il nero in sfumature indistinguibili, i soldati nordcoreani pagano il prezzo più alto, vittime di mosse sbagliate e alleanze vacillanti.Secondo fonti del Pentagono riportate dalla BBC, centinaia di soldati nordcoreani sono state uccise o ferite nella regione di Kursk, un’area strategica dove le forze ucraine stanno respingendo gli assalti russi. Le stime parlano di almeno 100 morti e oltre 1.000 feriti, confermate anche da fonti dell’intelligence sudcoreana citate dalla CNN. La loro scarsa esperienza sul campo e la poca familiarità con le tattiche moderne, come l’uso dei droni, li hanno resi particolarmente vulnerabili. Il caos è amplificato da episodi di fuoco amico: un prigioniero russo, citato da 24 Canale, ha raccontato che, incapaci di distinguere tra russi e ucraini, i soldati nordcoreani hanno aperto il fuoco sui propri alleati, uccidendo otto membri del Battaglione Achmat, composto da ceceni fedeli a Ramzan Kadyrov. “Per loro, tutti gli slavi sembrano uguali”, ha dichiarato il prigioniero, evidenziando il disordine che domina sul campo.Il presidente ucraino Vladimir Zelenskij, sul suo canale Telegram, ha denunciato che la Russia “sta cercando di nascondere le perdite subite dai soldati nordcoreani”, schierati in prima linea senza alcuna possibilità di successo, sacrificati alla “follia di Putin”. Zelenskij ha inoltre definito queste morti “inutili”, spiegando che si tratta di giovani costretti a combattere in una guerra che non li appartiene.Dietro le quinte, questa alleanza tra Mosca e Pyongyang si rivela per quello che è: una partita giocata con pezzi difettosi. Un’inchiesta di Panorama aveva già evidenziato, ancor prima che la Russia schierasse ufficialmente i soldati nordcoreani, che il Cremlino stesse sempre più intensificando i rapporti con il regime di Kim Jong-un, portando al confine un flusso senza precedenti di cittadini nordcoreani con visti dichiaratamente “educativi”. Tuttavia, tra i 3.765 ingressi registrati tra luglio e settembre, solo 130 risultano iscritti a corsi universitari russi.Come documentato dalla BBC, molti giovani nordcoreani vengono sfruttati come manodopera a basso costo o inviati direttamente nei campi di addestramento militare. “Molti di noi speravano in un’istruzione”, confessa un giovane nordcoreano sotto anonimato, “ma ci hanno mandati a lavorare forzatamente o, peggio, a combattere. Se ci rimpatriano, ci aspettano torture atroci e persino la pena di morte per tradimento”.La crescente dipendenza della Russia dalla Corea del Nord non si limita ai soldati, ma si estende anche alle forniture militari. Secondo un’analisi di Forbes, Pyongyang sta fornendo a Mosca artiglieria, come gli obici M-1989 Koksan, che utilizzano munizioni non standard da 170 mm, aggravando le difficoltà logistiche russe. Queste forniture sembrerebbero più un problema che una soluzione. L’asimmetria dello scambio è evidente: mentre la Corea del Nord riceve tecnologie nucleari, la Russia ottiene vecchie armi. Ma quale altra scelta ha la Russia, il cui corpo d’artiglieria è sempre più debilitato e dipendente dalla Corea del Nord?Il caos si estende anche al coordinamento sul campo: episodi di fuoco amico, come l’uccisione di otto ceceni del Battaglione Achmat da parte dei nordcoreani, dimostrano quanto sia fragile questa alleanza. Ogni passo falso, ogni mossa sbagliata, trasforma una strategia già debole in una tragedia. Questi episodi e la richiesta di soldati agli alleati sembrano evidenziare il declino delle capacità industriali russe, incapaci di sostenere autonomamente un conflitto prolungato.L’alleanza tra Russia e Corea del Nord, nata dalla disperazione reciproca, riflette interessi strategici più che una reale sintonia politica. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, Pyongyang ha colto l’opportunità per rafforzare i legami con Mosca, riconoscendo le regioni separatiste di Donetsk e Luhansk. Nel luglio 2023, delegazioni russe e cinesi hanno visitato la Corea del Nord per celebrare il 70° anniversario dell’armistizio della Guerra di Corea, durante il quale Kim Jong-un e Sergei Shoigu hanno discusso di collaborazioni strategiche nel settore della difesa. Successivamente, immagini satellitari hanno rivelato trasferimenti di equipaggiamento militare tra i due Paesi, segnando una nuova fase di cooperazione.A settembre, l’incontro tra Kim e Putin al cosmodromo di Vostočnyj ha consolidato questa alleanza. Da allora, si stima che oltre un milione di munizioni e razzi siano stati trasferiti attraverso circa 7.000 container. In cambio, la Russia ha garantito a Pyongyang l’accesso al sistema finanziario globale e fornito tecnologie avanzate nei settori missilistico e nucleare.Questa collaborazione, però, non è priva di problematiche. La dipendenza della Russia dalle forniture militari nordcoreane, come gli obici M-1989 Koksan, ha esacerbato le difficoltà logistiche di Mosca, mentre il dispiegamento di truppe poco addestrate ha portato a perdite devastanti e a un coordinamento inefficace sul campo.La tragedia dei soldati nordcoreani, costretti a combattere e morire per interessi altrui, è un monito crudele: anche le alleanze più strette possono crollare sotto il peso del sangue versato. Come ha affermato Zelenskij: “La storia non perdonerà queste mosse sbagliate”. In una guerra dove le pedine vengono sacrificate senza rimorso, la linea tra il bianco e il nero si dissolve, lasciando solo un campo di battaglia insanguinato.TUTTE LE NEWS DAL MONDO
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In Siria si ripete l’errore occidentale
by Marcello Veneziani on 21 Dicembre 2024 at 11:30
Con la fuga di Bashar al-Assad, si reitera lo sbaglio fatto con Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi: esultare per il dittatore caduto. Purtroppo non si può misurare il mondo con un metro ormai inservibile.Ci risiamo. Il copione si ripete puntualmente, con tutti i suoi errori e noi incuranti, nonostante le lezioni del passato. Da svariati decenni, l’Occidente, la Nato, gli Stati Uniti e al loro seguito l’Europa e l’Italia esultano per la caduta del dittatore, e sotto sotto tifano, se non sostengono, direttamente o indirettamente, il rovesciamento armato del potere. Vedono nella fine del regime autoritario un trionfo della democrazia, dei diritti, della libertà. Poi, dopo il dittatore arriva il Califfato jihadista o comunque lo Stato islamico, arrivano i fanatici dell’Islam, fino a ieri definiti terroristi, e scoppia la lotta sanguinosa tra le fazioni. Dall’autocrazia alla teocrazia. Accadde in Iraq al tempo di Saddam Hussein, poi in Libia al tempo di Muhammar Gheddafi, ora in Siria al tempo di Bashar al-Assad, nonostante i rassicuranti preliminari. E cito solo i casi più famosi: ricorderete l’esultanza occidentale per la primavera araba nei Paesi del Maghreb dove furono abbattuti regimi autocratici e paternalistici e poi arrivarono al loro posto i fanatici della Fratellanza Islamica, le violenze e l’instabilità dell’area? Dall’Algeria alla Tunisia e all’Egitto, e non solo. Intanto prendeva corpo l’Isis e la minaccia terroristica sbarcava in Europa, a colpi di stragi e agguati.Lo stesso errore di giudizio compiamo nei confronti dell’Iran, da decenni accusato di fomentare il terrorismo, senza renderci conto che la sua matrice, da Al Qaeda all’Isis, passando per tanti gruppi e assassini solitari, è quasi tutta nell’Islamismo sunnita, mentre l’Iran è sciita. Da decenni, almeno dall’Afghanistan in poi, l’Occidente arma e sostiene fanatici per abbattere altri regimi che considera nemici, potenziando orde di nemici più feroci. L’ignoranza geopolitica e geoculturale produce alle volte brutti scherzi. Il grado di inimicizia lo misuriamo con parametri sbagliati. Una dittatura è un inaccettabile passo indietro per una democrazia e per uno stato di diritto; ma è un passo avanti rispetto alla sharia e al jihad, la guerra santa islamica. Bisogna sempre fare paragoni per capire se si sta facendo un passo avanti o indietro, capire i soggetti in campo e le alternative. In quei contesti, le dittature, pur cruente, sono stati regimi di modernizzazione autoritaria e di transizione militare, argini rispetto ai regimi fondamentalisti e integralisti.Non si possono usare i paradigmi della storia d’Occidente in Africa, in Asia o in Medio Oriente. Perché poi finiamo con l’ammazzare, come disse Winston Churchill, «il porco sbagliato», e colpire un male minore e circoscritto aprendo la strada al male maggiore ed espansivo. Infatti quei regimi autocratici avevano un carattere prevalentemente nazionalistico ed erano impegnati dentro i propri confini, non cercavano alleanze espansionistiche e guerre sante. Lo Stato islamico, invece, si allarga al di fuori dei confini nazionali, si collega alla fratellanza islamica, vuole espandersi e cerca alleanze per conquistare e convertire, e si pone in antagonismo radicale con l’Occidente miscredente, sia esso ateo o cristiano. E la Siria ora passa sotto l’area d’influenza di un’autocrazia d’ispirazione islamica, come la Turchia di Recep Tayyp Erdogan. La speranza è che una volta al potere i terroristi di ieri diventino illuminati e moderati e vengano tenuti a freno dall’alleato turco che perlomeno ha senso della realtà. Ma visti i precedenti in Iraq, in Libia e nelle altre nazioni arabe, non c’è da nutrire molta fiducia. Nel frattempo Israele bombardava anche la Siria col sostegno americano.Tira una brutta aria nel mondo, che ha coinciso, guarda caso, con l’amministrazione dem di Joe Biden negli Stati Uniti. Troppi focolai di guerra, troppi fronti aperti, troppi colpi di Stato striscianti, troppa intermittenza nel giudicare le tornate elettorali: se vincono i partiti e i leader graditi agli Stati Uniti sono valide e corrette, se vincono quelli graditi alla Russia o ad altre potenze non sono valide e sono truccate. I tentativi di manipolazione e le interferenze sono probabili, ma da ambo i versanti. Popoli europei come i romeni perdono la loro sovranità popolare, premessa alla perdita della sovranità politica e nazionale, se divergono nel voto dalle Direttive Generali imposte dai Comandi. In Occidente provano a mandare fuori strada i leader e i movimenti non allineati con le inchieste giudiziarie, le criminalizzazioni, i cordoni sanitari e le campagne mediatiche, come è il caso ora di Marine Le Pen; altrove si spingono a modificare o respingere i verdetti elettorali o addirittura ispirano golpe, eliminazioni e reclutano classi dirigenti asservite.Tutto questo, oltre ad alterare il quadro di molti Paesi e a interferire pesantemente sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, produce effetti deleteri sulla scacchiera internazionale: esaspera gli antagonismi, arma, coalizza e ingrossa schieramenti ostili, genera controffensive e controstrategie d’infiltrazione coloniale, chiama in causa e risveglia potenze finora dormienti. Non bastava quel che sta succedendo tra Israele, Palestina, Libano e in tutto il Medio Oriente, o in Corea, in Ucraina e adesso in Romania, cioè in Europa; ora è di turno anche la Siria; nei quattro anni di amministrazione interventista americana, il quadro mondiale è stato violentemente scosso, fino a diventare incandescente, la tensione con la Russia e l’Iran è salita alle stelle, il rapporto con gli Stati dei Brics si è fatto più spinoso e il rischio di una guerra mondiale è cresciuto enormemente. Troppi arsenali atomici sono in fibrillazione. E noi dovremmo esultare perché il dittatore Assad è caduto e hanno vinto i terroristi jihadisti… Quanti cervelli fulminati sulla via di Damasco…
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La Spagna rafforza la Difesa aerea con altri 25 Eurofighter
by Sergio Barlocchetti on 21 Dicembre 2024 at 10:30
Il governo spagnolo ha firmato un contratto con la Nato Eurofighter and Tornado Management Agency (Netma), che ha sede a Monaco di Baviera, Germania, per l’acquisizione di 25 velivoli Eurofighter. Noto come programma Halcon II, l’ordine coprirà la consegna di 21 unità monoposto di ultima generazione e di quattro biposto per sostituire parte della flotta di Boeing F-18 gestita dall’Aeronautica militare spagnola. L’accordo, che segue un precedente contratto firmato nel 2022 per un lotto di venti aerei da combattimento, vedrà la flotta spagnola di Eurofighter crescere fino a 115 esemplari con la prima consegna dei nuovi velivoli prevista per il 2030. Questi serviranno per potenziare le capacità e le operazioni di vigilanza aerea della Spagna; rafforzeranno la sua posizione di rilievo nella Nato e avranno una positiva ricaduta industriale sia in Spagna, sia in Germania, Francia e Italia. Mike Schoellhorn, Ceo di Airbus Defence and Space, ha dichiarato: “L’Eurofighter Typhoon è il jet da combattimento più avanzato e di maggior successo di produzione europea ed è la spina dorsale della superiorità aerea europea. È anche un simbolo di cooperazione industriale tra nazioni e aziende, un esempio di come l’Europa può lavorare nel nostro attuale contesto di difesa. Siamo grati per la fiducia del governo spagnolo nel Typhoon e in Airbus Defence and Space. Questo ordine non è solo un importante segnale di domanda e difesa, ma assicura anche la catena di fornitura in Spagna e in tutta Europa”.Tutti gli Eurofighter destinati alla Forza Aerea nazionale vengono assemblati, collaudati e consegnati presso il sito Airbus Getafe di Madrid e la loro impronta industriale si traduce in oltre 16.000 posti di lavoro diretti e indiretti nella sola Spagna, poiché coinvolge le principali aziende nazionali di difesa e tecnologia nel processo di produzione. Progettato per sostituire la flotta di F-18 del Paese, il programma Halcon costituisce un significativo potenziamento delle capacità di potenza aerea della Spagna: si tratta di un totale di 45 jet Eurofighter ordinati dal 2022, dotati di avionica avanzata, radar a scansione elettronica (E-Scan), sistemi d’arma potenziati in grado di operare missili Brimstone III e Full Meteor, nuovi sensori e connettività migliorata. Si uniranno all’attuale flotta di 70 aerei dell’aeronautica militare spagnola dal 2026 in poi. In servizio con la Spagna dal 2003, l’aeronautica militare del paese gestisce l’Eurofighter dalle basi aeree di Morón (11° Wing), vicino a Siviglia, e Los Llanos (14° Wing), ad Albacete, quindi a breve anche dalla pista di Gando (46° Wing), nelle isole Canarie. In totale, il programma garantisce più di 100.000 posti di lavoro in Europa che saranno incrementati attraverso velivoli di ultima generazione, così come in futuro, attraverso i progressi tecnologici nell’ambito dello sviluppo dell’aeromobile. Ad oggi sono in servizio oltre 500 esemplari sui 700 ordinati da otto nazioni e inseriti nei lotti di programmazione della produzione. Essi sono stati scelti da Regno Unito, Germania, Italia, Austria, Arabia Saudita, Oman, Qatar e Kuwait. L’Italia, negli stabilimenti Leonardo, produce l’ala sinistra, le superfici mobili e la parte posteriore delle sezioni di coda della fusoliera.