Stavo riflettendo e voglio condividere con voi questa considerazione su come cambia il mondo. Il mondo cambia davvero senza tregua. Si tratta forse non tanto di cambiare, come diceva Marx, ma anzitutto di conservare ciò che di buono vi è ancora. Il capitale cambia senza tregua il mondo e lo fa in senso rigorosamente capitalistico e non necessariamente in meglio. Pensateci bene, ne vale la pena. Vi fu un tempo in cui i ristoranti venivano costretti a chiudere se gli ispettori e gli addetti trovavano insetti nelle loro cucine. Adesso gli insetti si trovano direttamente sul menu, quando non nel piatto. E ciò, lungi dall’essere condannato come gesto di scarsa igiene, viene salutato come progresso, come nuovo menù all’altezza dei tempi, come nuova leccornia della globalizzazione neoliberale. Poi, ovviamente, quelli che dai piani alti ci propongono questo menù gastronomicamente corretto, al passo con il ritmo della globalizzazione neoliberale e che lo celebrano a piè sospinto come salutare e proteico, si guardano bene dal fruirne. E come sempre, alle loro luculliane mense seguitano a pascersi di aragoste rosse, di inebrianti tartufi bianchi e di calici di Don Perignon ghiacciato. E con ciò rivelano che il tanto inquinato menù che propongono al popolo degli abissi, come mi piace chiamarlo con il noto romanzo di Jack London, forse alla fine non è poi il migliore dei pasti possibili.

Sicuramente però è quello che i padroni lassù vogliono e sempre più vorranno farci mangiare. Naturalmente lo fanno per il nostro bene, come sempre, mica per il loro profitto e per il loro interesse. E così capita poi che nel silenzio generale ci siano scene che svelano il grande inganno. È accaduto l’altro giorno a Barcellona che tre personaggi d’eccellenza come Obama, Springsteen e Spielberg si siano trovati in un ristorante lussuoso e così leggiamo sul quotidiano nazionale: “Hanno mangiato caviale e ostriche a volontà“, mica il menù globalista laicamente corretto che da lassù vogliono proporre a noi quaggiù, a noi popolo degli abissi. No, hanno continuato a mangiare come da sempre fanno i ricchi, caviale e ostriche, il proibitivo ed esoso menù dei padroni. Non consumano evidentemente larve, insetti e grilli, ossia il piatto unico che vogliono imporre al basso, con il duplice obiettivo di proporre un pasto che permetta anche alle nuove plebi della globalizzazione di sfamarsi. In secundis, per disarticolare le identità gastronomiche, anche in ragione del fatto che l’identità si sedimenta anche e non secondariamente a tavola, in ciò che mangiamo è racchiusa la nostra storia. Sicché rimuovere le identità gastronomiche significa proporre la cancel culture anche a tavola, che è quello che la globalizzazione sta facendo con successo. Insomma, per riprendere una nota ed efficace formula del presidente Mao che la utilizzava in relazione alla rivoluzione, possiamo ben dire che anche la globalizzazione non è e non sarà un pranzo di gala.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano

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