Fonte: AVV. LILLA LAPERUTA
Il fermo amministrativo è un provvedimento di natura cautelare con il quale le amministrazioni competenti (Comuni, INPS, Regioni, Stato, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore iscritto in pubblici registri (ad esempio autoveicoli), al fine di riscuotere crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (come, ad esempio, il mancato pagamento di bollo auto) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada.
Il referente normativo va individuato nel D.P.R. 602/1973 e, precisamente, nell’art. 86.
La procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati – si legge nella citata disposizione – è avviata dall’agente della riscossione con la notifica, al debitore, di una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari.
Ci sono dei casi in cui l’ambito di applicazione del provvedimento di fermo amministrativo è soggetto a restrizioni. Il fermo amministrativo, ad esempio, non può essere disposto – oppure può essere sospeso – nel caso delle auto destinate ai disabili. Ai fini dell’esonero dal fermo, il contribuente con invalidità può utilizzare il Modello F3, “Istanza di annullamento del preavviso/cancellazione iscrizione di fermo su veicolo ad uso di persone diversamente abili”, che rappresenta il documento chiave per richiedere la cancellazione di un fermo amministrativo.
Inoltre il fermo amministrativo non può essere applicato ai veicoli strumentali all’attività di impresa o professionale. Ai fini dell’esonero, il contribuente deve presentare la documentazione necessaria tramite il Modello F2, indicando la tipologia dell’attività e i documenti richiesti a sostegno delle dichiarazioni effettuate.
Ancora, ai fini della legittimità del provvedimento rileva il rispetto della corretta determinazione della competenza territoriale da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER). Si tratta di un principio di legittimità importante per la tutela dei contribuenti, come evidenziato dalla recente sentenza n. 2144 del 17 ottobre 2024 della Corte di giustizia tributaria di Bari.
Questa decisione – che si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato in tema di competenza territoriale inerente alla riscossione fiscale – ribadisce, infatti, che un provvedimento emesso da un ufficio provinciale del concessionario, se operante al di fuori dell’ambito territoriale del domicilio fiscale del contribuente, è illegittimo per carenza di competenza territoriale.
Il caso specifico riguardava un contribuente che aveva impugnato un’intimazione di pagamento emessa dall’ AdER di Bari, nonostante il suo domicilio fiscale fosse storicamente situato a Bologna. La Corte di giustizia tributaria di Bari ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal contribuente, facendo leva sul fatto che l’ambito territoriale dell’ufficio esattoriale (quello che si occupa della riscossione) deve essere distinto da quello dell’imposizione fiscale, a tutela del principio di correttezza amministrativa, e in conformità alla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 23889/2024).
Inoltre, la Corte di Bari ha fatto riferimento anche alla possibilità di delega tra uffici, prevista dall’art. 46 del D.P.R. 602/1973, che consente la redistribuzione dei compiti tra gli uffici competenti. Tuttavia, tale aspetto non è stato ritenuto sufficiente a sanare un vizio di competenza territoriale, in assenza di una delega formale e specifica.
L’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente appare, quindi, in linea con i principi di giustizia fiscale e potrebbe rappresentare un precedente rilevante in futuro, specie per le questioni legate alla corretta determinazione della competenza territoriale nella riscossione.