Pubblicato il: 07/11/2024

Essere risarciti alla separazione, perché il coniuge ha “sperimentato” il matrimonio nella convinzione che il legame tra marito e moglie non possieda il carattere dell'indissolubilità? Secondo la Corte di Cassazione non è possibile, e ciò emerge dalla recente ordinanza n. 28390 emessa dalla Prima Sezione civile.

La giurisprudenza dei giudici di Piazza Cavour è sempre particolarmente illuminante e lo è, a maggior ragione, in una materia delicata per antonomasia, come quella dei matrimoni, delle separazioni e dei divorzi. In sostanza, nel provvedimento, la Corte rimarca che ogni persona è libera di rompere il legame matrimoniale, separarsi e divorziare, senza doversi esporre a obblighi risarcitori per il solo fatto di essersi limitata a testare la durevolezza e la longevità dell'esperienza matrimoniale.

Nel caso esaminato dai giudici, un uomo aveva fatto ricorso in Cassazione per ottenere un risarcimento dalla moglie, ritenuta responsabile di essersi sposata non credendo davvero alla c.d. promessa per la vita, ossia all'impegno a mantenere il legame matrimoniale in modo stabile e duraturo.

In precedenza, dopo sei mesi dalle nozze, la donna intraprese una causa presso il tribunale ecclesiastico per conseguire la nullità del matrimonio religioso, sostenendo di non aver mai creduto nell’indissolubilità del legame e di essersi sposata per mera “prova”. Il tribunale ecclesiastico accolse la richiesta, dichiarando nullo il matrimonio religioso con una sentenza emessa nel 2011.

Di seguito il marito, ritenendosi leso sul piano morale e materiale e nell'obiettivo di farsi risarcire, si rivolse prima al tribunale civile e poi al giudice di secondo grado, ottenendo però in ambo i casi una bocciatura delle sue richieste di pagamento. L'ultima carta da giocare fu il ricorso in Cassazione ma, come anticipato, anch'esso ebbe un esito negativo: chi si sposa per “testare” l'esperienza del matrimonio non è tenuto – per questo stesso fatto – a risarcire il coniuge indispettito e sdegnato.

Nell'ordinanza n. 28390 dello scorso 5 novembre la Corte ha spiegato, infatti, che:

  • la facoltà di troncare il legame matrimoniale rientra nel novero delle libertà individuali e personali protette dalla Costituzione;
  • conseguentemente, ogni coniuge ha il diritto inviolabile di decidere autonomamente di interrompere l'unione, senza che debba insorgere un dovere di risarcimento per il semplice fatto di non aver creduto, fin dall’inizio, nella sua indissolubilità.
In particolare, l'art. 2 Cost. riconosce e protegge i diritti fondamentali dell’uomo sia come individuo che nelle formazioni sociali, come il matrimonio. Mentre l'art. 29 Cost. tutela la famiglia come società naturale fondata su questo istituto, ma non impone anche l’indissolubilità del vincolo, non impedendo quindi lo scioglimento per motivi personali. Tale libertà risponde a una visione moderna e pluralista del diritto, che dà valore al benessere e alla dignità individuale nei legami familiari.

Ricapitolando, in Italia il matrimonio è vincolante per legge finché non viene sciolto tramite separazione e divorzio, ma nessuno è obbligato a restare in un’unione che non intende portare avanti. Chi intende troncare dovrà però rispettare le procedure ad hoc, previste dalle norme in materia.


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