Pubblicato il: 20/09/2024

Il tema del licenziamento tardivo per contestazione disciplinare riguarda spesso i diritti del lavoratore, in particolare quando il provvedimento arriva a distanza di molto tempo dal presunto illecito. Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’immediatezza della contestazione disciplinare: il datore di lavoro, per poter procedere a una sanzione come il licenziamento, deve agire entro un lasso di tempo ragionevole dal momento in cui viene a conoscenza del comportamento scorretto.
Secondo la legge, la contestazione disciplinare deve essere immediata, ovvero deve seguire in tempi brevi l’accertamento del fatto illecito. Questo è fondamentale per evitare che il lavoratore si trovi in una situazione di incertezza riguardo al proprio rapporto di lavoro o che perda la possibilità di difendersi efficacemente. Tuttavia, la legge non fissa un termine preciso entro il quale deve avvenire la contestazione. Il datore di lavoro ha il diritto di condurre le dovute indagini per raccogliere prove sufficienti e procedere in modo corretto, specialmente se l’organizzazione aziendale è complessa.
Nel caso di aziende più strutturate, il processo di accertamento e le procedure interne possono richiedere più tempo rispetto a contesti aziendali più semplici. Nonostante questo, i lavoratori si domandano spesso se un licenziamento tardivo, arrivato dopo mesi dalla commissione dell’illecito, sia legittimo.
Cassazione: la tempestività è fondamentale
La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sulla questione della tempestività del licenziamento per motivi disciplinari. Con l’ordinanza n. 24609 del 13 settembre 2024, la Cassazione ha ribadito che il datore di lavoro deve agire rapidamente per consentire al dipendente di difendersi e raccogliere prove a proprio favore. Inoltre, un ritardo eccessivo può dare al lavoratore l'impressione che il comportamento scorretto sia stato tollerato o perdonato, inducendolo a ripeterlo e rischiando sanzioni più gravi.
Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, considerando la natura dell’illecito e il tempo necessario per svolgere le indagini. Ciò significa che, se l’accertamento del fatto richiede più tempo, specialmente in organizzazioni complesse, un certo ritardo può essere giustificato.
Quando un licenziamento è considerato non tempestivo?
La giurisprudenza ha elaborato dei criteri per valutare quando un licenziamento è tardivo e, quindi, non legittimo. In generale, un licenziamento è considerato non tempestivo in due casi:
  • quando passa troppo tempo tra il fatto illecito e la contestazione disciplinare o il licenziamento, senza una valida giustificazione. Questo succede, ad esempio, quando il datore di lavoro, pur avendo già raccolto prove sufficienti, ritarda senza motivo l’invio della contestazione;
  • quando il datore di lavoro ha tollerato in passato comportamenti simili a quelli contestati, rendendo tali condotte una "prassi aziendale". In questo caso, non può poi licenziare il dipendente per un comportamento che in passato non ha sanzionato.

La giurisprudenza ha stabilito che, per valutare la gravità di una condotta, è necessario considerare come casi simili siano stati trattati in precedenza. In pratica, se in passato comportamenti simili non sono stati sanzionati, il datore di lavoro non può ora considerare il fatto come un motivo valido per il licenziamento.
La giurisprudenza sulla tempestività: i precedenti
Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 290 del 2023, ha fornito importanti indicazioni su quando un licenziamento può essere considerato tardivo. Il giudice ha chiarito che il principio di immediatezza della contestazione deve tener conto delle circostanze concrete del caso. In particolare, la tempestività della sanzione può essere compatibile con un intervallo di tempo anche lungo, se il datore di lavoro ha bisogno di tempo per indagare o se la complessità dell’azienda giustifica un ritardo.
La Cassazione, con la sentenza n. 23031 del 2024, ha confermato che la valutazione della tempestività spetta al giudice, il quale deve esaminare le ragioni addotte dal datore di lavoro per il ritardo. Se il datore dimostra che il tempo era necessario per le indagini o a causa della complessità della struttura organizzativa, il ritardo può essere giustificato.
Inoltre, la Corte d'Appello di Milano (sentenza n. 813 del 2023) ha sottolineato che la tempestività della contestazione non si valuta dal momento in cui il datore di lavoro avrebbe potuto accorgersi dell’illecito, ma dal momento in cui ne ha acquisito piena conoscenza. Se l'accertamento dei fatti richiede più tempo, questo può essere considerato nella valutazione complessiva del caso.
Licenziamento tardivo: reintegro o risarcimento?
Un licenziamento comunicato troppo tardi rispetto ai fatti contestati non implica automaticamente la reintegrazione del lavoratore. Secondo la Cassazione (sentenza n. 18070 del 2023), in caso di licenziamento tardivo, il dipendente non ha diritto al reintegro, ma solo al risarcimento del danno. Questo perché, sebbene il ritardo renda il licenziamento illegittimo, non lo annulla completamente, ma lo priva di effetti reintegrativi. La tutela del lavoratore si concentra quindi sul risarcimento, poiché il tempo trascorso può aver compromesso la sua capacità di difendersi o creato un’aspettativa di impunità.
In sintesi, la tempestività della contestazione disciplinare è un elemento chiave nella valutazione della legittimità del licenziamento. Seppure la legge non fissi termini precisi, il datore di lavoro deve agire entro tempi ragionevoli, altrimenti rischia di vedere annullata la sua decisione o di dover pagare un risarcimento al dipendente.

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