Pubblicato il: 23/12/2024
Nella gran parte dei casi la fattispecie che si viene a configurare è quella della donazione indiretta, fattispecie che la giurisprudenza ha riconosciuto sussistente in molteplici circostanze, non necessariamente aventi carattere negoziale.
Ora, tralasciando di esaminare le diverse ipotesi riconducibili a una donazione indiretta (per un approfondimento delle quali si rinvia ad una notizia già pubblicata da questa Redazione al seguente link: https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/esempi-vari-liberalita-indirette/1865.html), verranno qui prese in considerazione quelle a cui in genere si fa maggiormente ricorso nella prassi quotidiana, ovvero l’adempimento del terzo ed il contratto a favore di terzo.
La disciplina dell’adempimento del terzo si rinviene nel Capo II del Libro quarto del codice civile, agli artt. 1176 e ss.: si tratta di un particolare istituto giuridico, inquadrabile tra i diversi modi di estinzione delle obbligazioni di tipo fisiologico (l’obbligazione che ha come oggetto una prestazione nasce al preciso fine di soddisfare l’interesse del creditore attraverso l’adempimento).
In linea generale, l’adempimento consta di un profilo oggettivo (deve corrispondere qualitativamente e quantitativamente alla prestazione dovuta, pena l’inesattezza) e di uno soggettivo.
È proprio sotto questo secondo profilo che viene in considerazione l’istituto in esame, in quanto, sebbene il diritto di credito che sorge nell’ambito del rapporto obbligatorio abbia natura di diritto relativo (l’obbligazione deve essere adempiuta dal debitore), il legislatore consente che sia anche un terzo estraneo al rapporto obbligatorio ad adempiere.
Dispone l’art. 1180 del c.c. che l’obbligazione può essere adempiuta da un terzo non obbligato, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione; tuttavia, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo se il debitore gli ha manifestato la propria opposizione.
Sotto il profilo della natura giuridica che deve riconoscersi a tale istituto, si ritiene preferibile la tesi secondo cui, a differenza dell’adempimento del debitore, l’adempimento del terzo ha senza dubbio natura negoziale, in quanto si tratta di un atto giuridicamente libero, caratterizzato dall’animus solvendi debiti alieni.
In particolare, come nelle altre ipotesi di liberalità indirette, anche in questo caso si individuano una causa interna costante (ovvero la realizzazione dell’interesse del creditore) e una causa esterna variabile.
Quest’ultima concerne i rapporti tra il terzo e il debitore, i quali possono essere i più vari: si può fare l’esempio del subacquirente di una cosa venduta con riserva di proprietà, che paga le ultime rate per non subire la rivendicazione, ma anche l’esempio del padre che paga il saldo finale della motocicletta o dell’auto acquistati dal figlio, il quale ha nel frattempo perso il lavoro e non riesce più a saldare il conto.
Ebbene, qualora l’adempimento del terzo (c.d. negozio mezzo) abbia il solo scopo di beneficiare il debitore, ricorrerà un’ipotesi di donazione indiretta (c.d. negozio fine), con conseguente depauperamento del patrimonio del terzo adempiente in danno dei suoi possibili creditori.
È sotto questo profilo che si pone il problema dei creditori del terzo adempiente e dei mezzi di cui questi possono avvalersi per tutelare le proprie ragioni di credito; infatti, si tenga presente che, sebbene il codice utilizzi l’espressione “adempimento” per rubricare tale fattispecie, di fatto il terzo agisce disponendo in totale autonomia della propria sfera giuridica, effettuando nei confronti del creditore una prestazione a cui non era obbligato.
Invero, la disposizione di cui all’art. 1180 c.c. è suscettibile di dare origine a una vasta gamma di ipotesi problematiche, correlate al complesso intreccio di rapporti e interessi che ne discendono.
Intanto deve osservarsi che, se è vero che qualunque terzo può intervenire nel rapporto obbligatorio altrui, soddisfacendo le pretese creditorie, non è altrettanto vero che possa sempre farlo, in quanto potrebbero sussistere interessi giuridicamente apprezzabili – del creditore o del debitore o dello stesso terzo – tali da paralizzare l’intervento del soggetto estraneo, negandogli la facoltà di intromissione nel rapporto giuridico intercorrente tra i soggetti originari.
È proprio in considerazione della sussistenza di tali interessi che si riconosce al creditore la facoltà di inibire l’adempimento del terzo in due circostanze, ovvero nel caso in cui il debitore stesso gli abbia manifestato la sua opposizione e allorché il creditore abbia un interesse giuridicamente ed oggettivamente apprezzabile a che sia il debitore ad adempiere personalmente alla prestazione dedotta in obbligazione.
In particolare, con riferimento a questa seconda ipotesi, il creditore potrà rifiutare legittimamente l’adempimento del terzo ogni volta che su di lui possa ricadere il rischio di una non definitiva soddisfazione del diritto di credito, derivante dalla possibile "attaccabilità" dell’atto di adempimento effettuato dal terzo.
L’ipotesi classica è quella del terzo che, pur versando in una precaria consistenza patrimoniale ed essendo gravato da molti debiti, decida, vuoi per sottrarre i pochi beni di cui dispone a una possibile azione esecutiva dei propri creditori vuoi per mero spirito di liberalità, di pagare un debito altrui (di un proprio parente, o di un amico in difficoltà).
In casi come questo, dunque, si rende necessario bilanciare i contrapposti interessi, ovvero quelli dei creditori del terzo e quelli del creditore soddisfatto ex art. 1180 c.c.
Così, se quest’ultimo può tutelarsi rifiutando l’adempimento del terzo (allorché provenga da un soggetto che non goda di una solida consistenza patrimoniale), i primi potranno – di contro – avvalersi dell’azione revocatoria, sia ordinaria che fallimentare.
Dei presupposti per l’esercizio di tale azione la giurisprudenza si è occupata in diverse circostanze, sia con riferimento alla fattispecie dell’adempimento del terzo, che alla fattispecie del contratto a favore di terzo, altra classica ipotesi di donazione indiretta a cui molto spesso, nella prassi, si è soliti fare ricorso per far acquisire un bene o un diritto al patrimonio altrui.
In particolare, in tema di azione revocatoria fallimentare, si vuole qui richiamare la sentenza della Cassazione civile a Sezioni Unite n. 6538 del 18.03.2010, nel corpo della quale si legge che “…nell’ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un’obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l’atto solutorio può dirsi gratuito, agli effetti dell’art. 64 Legge fallimentare, solo quando dall’operazione che esso conclude, sia essa a struttura semplice perché esaurita in unico atto sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti o negozi, il terzo non ne trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso così recare un vantaggio al debitore; mentre la ragione deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzi riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia ex lege”.
Con riferimento, invece, all’azione revocatoria ordinaria, l’ammissibilità del suo esercizio avverso l’atto di adempimento del terzo non può che essere una logica conseguenza della configurabilità di quest’ultimo quale atto negoziale e, in particolare, quale negozio giuridico unilaterale.
Infatti, l’adempimento del terzo, inteso quale negozio giuridico, è suscettibile di essere revocato in quanto atto dispositivo del patrimonio, conclusione alla quale può giungersi attraverso una breve disamina della stessa azione revocatoria, la cui disciplina si rinviene agli artt. 2901 e ss. c.c.
È pacifico che questa costituisca un mezzo a tutela della garanzia patrimoniale del debitore contro gli atti di disposizione del patrimonio, volta a rendere relativamente inefficaci (ovvero solo nei confronti del creditore) gli atti di disposizione del patrimonio.
Ora, i presupposti dell’azione revocatoria (sia essa ordinaria che fallimentare) cambiano a seconda che si tratti di atti a titolo oneroso o gratuito.
Infatti, mentre per gli atti a titolo gratuito sono richiesti il c.d. eventus damni (cioè il verificarsi del pregiudizio nei confronti del creditore) e il consilium fraudis (ovvero la consapevolezza, da parte del debitore, di arrecare un pregiudizio), per gli atti a titolo oneroso, invece, ai fini dell’esperibilità della revocatoria è anche richiesta la mala fede dell’acquirente.
Secondo quanto sostenuto dalla S.C. nella sentenza sopra citata, l’adempimento del terzo, stante la sua natura giuridica di negozio unilaterale, si presume effettuato a titolo gratuito, argomentando proprio dalla natura autonoma e volontaristica che sorregge tale adempimento; al contrario, si potrà riconoscere, allo stesso, carattere oneroso solo avendo riguardo all’intera operazione negoziale posta in essere, ovvero sulla base della causa concreta che sorregge il complessivo rapporto giuridico.
In questo secondo caso, la revocatoria, sia ordinaria che fallimentare, sarà ammissibile a condizione che si riesca a dare prova della mala fede dell’accipiens.
In altri termini, la natura giuridica negoziale dell’adempimento del terzo determina, da un lato, l’effetto estintivo dell’obbligazione del debitore, ma consente anche di ammettere l’esperibilità dell’azione revocatoria, costituendo tale adempimento un atto di tipo dispositivo, di cui deve essere valutata la gratuità od onerosità ai soli fini della disciplina applicabile, avendo riguardo al complessivo rapporto tra debitore, terzo e creditore.
A tutela, invece, dell’accipiens (ovvero di colui che riceve il pagamento dal terzo) rimane la facoltà, espressamente prevista dallo stesso art. 1180 c.c., di rifiutare tale adempimento, adducendo il suo interesse a che sia il debitore ad eseguire personalmente la prestazione (interesse che può anche discendere dalla conoscenza della forte esposizione debitoria del terzo adempiente e dal conseguente rischio che quell’adempimento possa essere dichiarato relativamente inefficace, a seguito del positivo esperimento dell’azione revocatoria ordinaria o fallimentare).
Quanto fin qui detto vale anche con riferimento al contratto a favore di terzo, altra ipotesi di liberalità indiretta, a cui si è fatto riferimento all’inizio.
Si tratta, almeno secondo la tesi preferibile, di uno schema generale per mezzo del quale si consente di aggiungere a contratti tipici o atipici una clausola accessoria, giustificata da uno specifico interesse dello stipulante, per effetto della quale il promittente accetta di eseguire la prestazione a beneficio di un terzo, anziché verso il suo naturale destinatario.
In questo caso il meccanismo che si viene ad utilizzare consente di arricchire il terzo beneficiario di un bene diverso da quello di cui si spoglia il donante e, alla causa tipica voluta dalle parti, si abbina l’ulteriore interesse liberale dello stipulante.
Si afferma (così Capozzi, in “Successioni e donazioni”) che tale fattispecie contrattuale “configura nella sua fattispecie tipica un’ipotesi di negozio indiretto, perché in esso bisogna distinguere una causa interna, quella propria del contratto che si conclude, e una esterna, quella relativa all’attribuzione fatta al terzo. Se questa seconda causa consiste nell’arricchimento del beneficiario, ricorrerà la figura della donazione indiretta tra stipulante e beneficiario”, con conseguente applicazione, ai fini sostanziali, della disciplina propria delle donazioni indirette.
È su queste basi che si è potuto, tra l’altro, esprimere il Tribunale di Salerno con sentenza n. 2305 del 06.05.2016, ritenendo ammissibile il ricorso all’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. avverso un atto di compravendita di immobile posto in essere, avvalendosi di tale fattispecie contrattuale, dal debitore in favore dei propri figli.
Tale sentenza, peraltro, si pone in perfetta aderenza con la tesi – ormai del tutto prevalente – secondo cui, in caso di contratto a favore di terzo avente ad oggetto un bene immobile (ma lo stesso non può che valere per i beni mobili), ciò che costituisce oggetto della donazione non è tanto la somma di denaro uscita dal patrimonio del disponente, quanto piuttosto il bene che – per mezzo di tale somma – ha conseguito il terzo beneficiario.
Da ciò consegue che, mentre nel caso in cui oggetto di revocatoria sia l’atto di adempimento del terzo, l’effetto che ne discende è quello della declaratoria di inefficacia del pagamento effettuato dal solvens, nell’ipotesi di contratto a favore di terzo la revocatoria colpirà direttamente il bene acquisito al patrimonio del terzo, e ciò sebbene tale bene non sia mai formalmente entrato nel patrimonio del disponente, ovvero del destinatario diretto dell’azione revocatoria.
Si ritiene, infatti, che – seppure in mancanza di una formale intestazione – lo stipulante-donante abbia, di fatto, acquistato l’immobile per poi donarlo, in un secondo momento, al terzo beneficiario.
La conclusione a cui si deve giungere, alla luce delle considerazioni fin qui condotte, è che qualunque atto avente natura di donazione indiretta, se posto in essere con il preciso intento di sottrarre fraudolentemente beni ai propri creditori, soggiace alla disciplina sostanziale di tale istituto, il che deve valere non soltanto ai fini successori (ovvero ai fini dell’applicazione degli istituti della riduzione, dell’imputazione e della collazione), ma anche al fine dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria e/o fallimentare.
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