Grosso! Grosso! Gol di Grosso! Siamo sopra e manca un minuto!
Come non ricordarla senza avere i brividi, quella magnifica scalata fino al tetto del mondo? Una vittoria ineguagliabile, ineluttabile, ineffabile. Ma se “vincere è l’unica cosa che conta”, Fabio Grosso ci ha preso l’abitudine; un’abitudine che non vuole togliersi nonostante sia stato artefice della vittoria per antonomasia.
Conquistare la Serie A ha un sapore diverso, ma dolce allo stesso tempo. Arrivare alla massima serie come allenatore in prima era un inedito anche per lui, che il calcio lo saluta come un vecchio amico. Grosso è anche il primo della combriccola che fu (da Cannavaro a Gattuso, da Pirlo a Inzaghi, De Rossi, Gilardino e Nesta) ad ottenere in panchina un successo così importante. Una cavalcata raggiunta a suon di clean sheet e con una formazione tutta italiana, a rendere il tutto ancor più amarcord.

A Radio Radio lo Sport il commento è eloquente: “E’ stata un’annata stupenda, perché quando comunque raggiungi un traguardo te lo godi e te lo tieni stretto, però il modo in cui lo raggiungi è stato molto bello. Abbiamo riportato un grande entusiasmo, c’è stata grande partecipazione e spirito d’appartenenza. Il popolo ciociaro si è riconosciuto nei valori di questi ragazzi e insieme siamo riusciti a fare qualcosa di stratosferico.
Se si va avanti insieme? Non abbiamo mai parlato di futuro, ma ora mi rivedrò col direttore e vedremo quelle che sono le nostre intenzioni, però c’è stato un feeling così bello che penso che continueremo insieme. Ora però è ancora presto

Poi la mente non può non tornare in punto preciso della Storia. Della sua in particolare: “Perché non parlo del Mondiale? Il ricordo è sempre lì. Bellissimo, stupendo. Una sensazione unica. Poi io ho smesso di giocare anche in punta di piedi. Ho fatto l’eccellenza, la C2, tutto il calcio dilettantistico per arrivare oltre ogni possibile sogno di un bambino. Dopo un po’ di pausa in cui mi sono goduto la famiglia, mi sono ributtato dentro. Lì si è accesa una fiammella che è un’altra cosa. Nel tempo questa cosa dei campioni del mondo rimane e la voglio, però io ora faccio una cosa diversa. La sto costruendo, la voglio: non mi sento un grande giocatore che gestisce una grande squadra, mi sento un ragazzo che dopo aver fatto un mestiere ha deciso di farne un altro. Quello di prima c’entra, ma ora non sono più dentro i 25, sono fuori e devo parlare con presidenti, direttori, tifosi, giornalisti. E’ completamente diverso. Mi piace parlare di quando ero giocatore, ma avrò altre soddisfazioni e delusioni (spero più soddisfazioni) ed è una cosa diversa da quello che è stato. Non mi piace accoppiarle, tutto qui“.

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