Pubblicato il: 24/10/2024

Le violazioni relative al Codice della strada continuano ad alimentare una copiosa giurisprudenza, in cui spiccano le decisioni della Cassazione. Recentemente, la Suprema Corte si è espressa con un provvedimento di estremo rilievo, che riguarda l'art. 126 bis, relativo alla patente a punti e alla decurtazione di questi ultimi. In particolare, tale articolo punisce la condotta del proprietario del mezzo a motore che non rende noti, entro 60 giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente di guida di colui che – al momento della commissione della violazione – guidava la macchina.

La decisione della Corte, che qui considereremo, è molto importante perché – in qualche modo – rappresenta un intervento che va incontro ai diritti dell'automobilista, evitando l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di questione sub judice.

Nei fatti che hanno portato alla decisione della Corte, che qui interessa, era emerso che un automobilista aveva fatto ricorso, presso il Giudice di Pace, contro ben undici verbali emessi a seguito della violazione del suddetto art. 126-bis, comma 2 Codice della Strada, poiché non aveva reso noto – nel termine di 60 giorni dalla notifica del verbale – i dati personali e della patente di guida del conducente del veicolo di sua proprietà. Il Giudice di Pace decise per il rigetto parziale del ricorso, riducendo la sanzione amministrativa pecuniaria al minimo edittale. Ne è seguita l'impugnazione del provvedimento innanzi al tribunale, conclusasi però con un ulteriore rigetto.

L'ultimo step è stato il ricorso in Cassazione da parte dell'automobilista. Ebbene, nell’ordinanza n. 26553/2024 della Suprema Corte – che chiude la disputa – viene chiarito che la menzionata violazione può sussistere esclusivamente al termine del giudizio di opposizione contro il verbale di contestazione della violazione del CdS. Ciò significa – in sostanza – che, prima di quel momento, il proprietario del mezzo non ha alcun alcun obbligo di comunicazione dell'identità di chi guidava la macchina al momento dell’infrazione punita nel Codice della Strada.

Ma quindi cosa cambia, in concreto, dopo questa pronuncia della Suprema Corte? Di fatto l’obbligo gravante sul proprietario della vettura scatterà soltanto quando l’esito del ricorso (con procedimento giurisdizionale o amministrativo) non si risolva positivamente per lui. In sintesi:

  • se il ricorso si rivela di esito sfavorevole, l’amministrazione (organo di polizia) dovrà di nuovo invitare il proprietario del mezzo a compiere le comunicazioni di cui al Codice della Strada e il termine di 60 giorni per queste comunicazioni ricomincerà a decorrere dalla data della nuova notifica;
  • se il ricorso si rivela di esito favorevole, il ricorrente potrà contare sul fatto che verrà meno il presupposto della violazione, considerato che la figura che deciderà la controversia provvederà altresì ad annullare il verbale di accertamento.

Alla luce di quanto emerso con l'ordinanza n. 26553, la Cassazione ha in particolare accolto la tesi dell'automobilista ricorrente, per la quale, qualora sia fatto ricorso contro un verbale per asserita violazione in ambito stradale, scatta la sospensione o congelamento del termine di cui all’art. 126-bis, comma 2 CdS, fino all'esito dei ricorsi proposti contro il verbale in oggetto: quindi fino alla decisione da parte della figura preposta a fare luce sul caso (prefetto o giudice).

Concludendo, con il citato provvedimento, la Suprema Corte ha così cassato con rinvio l'impugnata sentenza del tribunale, sollecitando i giudici a rivedere il caso, conformandosi al principio di diritto enunciato nell’ordinanza n. 26553.


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