Pubblicato il: 18/10/2024

L'esecutivo sta vagliando la possibilità di adottare nuove regole, che dovrebbero posticipare l'età di pensionamento dei dipendenti pubblici. Attualmente, chi lavora per lo Stato, se ha raggiunto i requisiti contributivi previsti, deve andare in pensione obbligatoriamente a 65 anni. In alternativa, l'uscita è possibile a 67 anni, ovvero l'età minima stabilita per il settore privato.
Il Governo, quindi, vuole ritardare il pensionamento dei dipendenti pubblici, senza però modificare l'età pensionabile. Due sono le soluzioni a disposizione dell’esecutivo. Da un lato, è stata prevista l’eliminazione dell'obbligo di pensione per i dipendenti pubblici; dall'altro, verranno introdotti alcuni incentivi per far sì che i pubblici impiegati continuino a lavorare. In questo modo si cercherà di non gravare ulteriormente sulle finanze pubbliche, mantenendo il delicato bilancio tra entrate e uscite previsto per la legge di bilancio del 2025.

A tal fine, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, sta lavorando per introdurre una nuova misura, che preveda vantaggi economici per incoraggiare i lavoratori della pubblica amministrazione a continuare a lavorare anche dopo aver maturato i requisiti per il pensionamento. In particolare, il Governo sembra intenzionato a fornire alcuni incentivi, erogati sotto forma di aumenti salariali, pur mantenendo un costo contenuto per lo Stato. Infatti la Pubblica amministrazione, anziché versare i contributi previdenziali all'Inps, utilizzerà quei fondi per incrementare direttamente lo stipendio netto del dipendente. Tale meccanismo diverrà operativo a partire dal momento in cui il lavoratore raggiungerà l'età pensionabile.
Le intenzioni del Governo erano piuttosto chiare; tuttavia l'unico intervento concreto finora adottato è consistito nell'eliminazione dell'obbligo di pensionamento a 65 anni per chi raggiungeva i requisiti contributivi, o a 67 anni per chi non li aveva ancora raggiunti. Per un approfondimento sulla questione, si rimanda al seguente articolo.

Vediamo, quindi, quali sono le ragioni principali che spingono il Governo a cercare di rallentare l’accesso alla pensione da parte dei dipendenti pubblici.
Il primo problema attiene alla carenza di personale. La pubblica amministrazione, infatti, necessita di centinaia di migliaia di nuove assunzioni per coprire i posti vacanti, ma fatica a competere con il settore privato in termini di attrattiva lavorativa.
Altra ragione risiede nella crisi occupazionale che interessa settori specifici. Alcuni settori della pubblica amministrazione, come quello sanitario, soffrono di una grave mancanza di personale qualificato, una situazione che potrebbe essere alleviata ritardando il pensionamento dei lavoratori più esperti.
Infine, l’ultima ragione risiede nel previsto aumento della spesa previdenziale. Nei prossimi anni, infatti, la generazione più numerosa d'Italia raggiungerà l'età pensionabile, con un impatto significativo sulle finanze del sistema previdenziale nazionale.

Quest'ultimo aspetto è tra i più critici per il Governo. Con il pensionamento delle persone nate negli anni ‘60, la spesa previdenziale toccherà livelli record, mettendo ulteriormente a rischio l'equilibrio finanziario dell'Inps e del bilancio statale. Posticipare il pensionamento dei dipendenti pubblici permetterebbe di dilazionare nel tempo l'uscita di questi lavoratori dal mercato del lavoro.


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