Pubblicato il: 18/10/2024

I permessi retribuiti di cui alla Legge 104 continuano ad alimentare dispute giudiziarie. Ma l'ormai consolidato indirizzo offerto dalla Cassazione fa piena luce su diritti e limiti gravanti sul lavoratore o sulla lavoratrice, aventi compiti di assistenza del familiare invalido.

Con l'ordinanza n. 26417 di giovedì 10 ottobre, infatti, la Suprema Corte ha rimarcato che non può essere legittimamente licenziato chi svolge altre attività durante i permessi 104; o meglio, ogni attività va opportunamente valutata in rapporto al contesto, per capire se davvero si può parlare di abuso dell'agevolazione in oggetto.

Ricapitolando – in sintesi – la vicenda che ha portato all'interessante decisione degli Ermellini, una dipendente di un supermercato si era avvalsa dei permessi di cui alla legge 104 per occuparsi del padre invalido. Il datore di lavoro – temendo possibili irregolarità – si era rivolto a un detective per svolgere pedinamenti e verifiche, mirate a scoprire che cosa realmente facesse la donna durante le ore di permesso.

Ebbene, se da un lato è vero che l'investigatore privato aveva acclarato che la lavoratrice si recava dal familiare disabile meramente per una frazione della giornata di permesso, dall'altro lato è altresì emerso che la donna svolgeva differenti attività nelle altre ore. Ne è seguito un licenziamento disciplinare per abuso dei permessi legge 104.

Evidentemente non accettando la decisione dell'azienda, la lavoratrice ha impugnato il recesso datoriale e si è rivolta alla magistratura, contestando l'accusa che detti permessi fossero sfruttati – in gran parte – per soddisfare bisogni o interessi personali. Ebbene, in tutti e tre i gradi di giudizio, la dipendente si è vista riconoscere le proprie ragioni, grazie a provvedimenti che hanno imposto al datore il reintegro sul posto di lavoro.

E questo per un motivo tanto concreto quanto semplice: la donna era stata in grado di provare che le attività compiute nelle altre ore – ovvero spostamenti agli uffici postali, compere di generi alimentari, spese per farmaci e appuntamenti dal dottore – erano state svolte nella finalità di tutelare al meglio la salute del familiare invalido. Tali comportamenti erano, cioè, funzionali alla cura del disabile.

Con la citata ordinanza n. 16417, la Corte di Cassazione ha così ribadito che l'assistenza, di cui ai permessi legge 104, non si attua soltanto con la cura diretta e la presenza fisica nell'abitazione del disabile, ma anche con attività esterne ed espressamente orientate all'interesse di natura sanitaria dell'assistito. Solitamente si tratta di attività che l'invalido non può svolgere in autonomia.

In conclusione, ribadendo una consolidata giurisprudenza, la Cassazione ha così ricordato che l'abuso del diritto in questione si configura, semmai, quando il dipendente utilizzi i permessi legge 104 per svolgere attività che nulla hanno a che vedere con l'assistenza al familiare e la cura della sua salute (tra le altre, cfr. Cassazione 8784/2015 e Cassazione 17968/2026).


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