Pubblicato il: 16/09/2024

Il blocco della rivalutazione per gli assegni superiori a quattro volte il minimo pensionistico (circa 2.395 euro quest'anno) è stato portato all'attenzione della Corte Costituzionale. La decisione che verrà presa potrebbe avere un impatto significativo, in quanto i risparmi previsti dal governo Meloni grazie alla riduzione della rivalutazione tra il 2023 e il 2024 ammontano a circa 6 miliardi di euro, con una stima che entro il 2032 raggiungerà i 36 miliardi.
La Corte Costituzionale non è nuova a casi simili, poiché già in passato i governi hanno fatto ricorso alla sospensione della rivalutazione per recuperare fondi destinati a coprire altre spese. Tuttavia, il passato potrebbe fornirci un'idea su come la Corte potrebbe decidere. Nel caso in cui i giudici dovessero bocciare le attuali misure, si potrebbe aprire una nuova fase per le pensioni.
Perché si discute della rivalutazione delle pensioni?
La rivalutazione delle pensioni è il processo con cui gli assegni pensionistici vengono aggiornati ogni anno in base all'inflazione registrata dall'Istat. Questo è stabilito dalla legge n. 448 del 1998, che prevede un adeguamento al 100% per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo, mentre per le fasce superiori la rivalutazione è ridotta al 90% e al 75% per importi più elevati.
Negli ultimi anni, però, queste regole sono state applicate raramente, se non nel 2022 con il governo Draghi. Successivamente, con l'aumento dell'inflazione, il governo Meloni ha introdotto un nuovo sistema di sei fasce, che penalizza le pensioni superiori a quattro volte il minimo, riducendo la rivalutazione sull'intero importo e non solo sulla parte eccedente.
Le attuali fasce di rivalutazione
Ecco come funziona oggi il sistema di rivalutazione delle pensioni:
  • fino a 4 volte il trattamento minimo: rivalutazione del 100%
  • oltre 4 e fino a 5 volte il minimo: rivalutazione dell'85%
  • oltre 5 e fino a 6 volte il minimo: rivalutazione del 53%
  • oltre 6 e fino a 8 volte il minimo: rivalutazione del 47%
  • oltre 8 e fino a 10 volte il minimo: rivalutazione del 37%
  • oltre 10 volte il minimo: rivalutazione del 22%.

Questo nuovo sistema ha portato un ex dirigente scolastico a fare ricorso presso la Corte dei Conti della Toscana, che ha deciso di rimandare la questione alla Corte Costituzionale. Secondo la magistratura contabile, queste misure penalizzano sia economicamente che moralmente i pensionati, trattando le pensioni più alte come un “privilegio sacrificabile” e compromettendo la proporzionalità del sistema.
Quali scenari si aprono?
È improbabile che la Corte Costituzionale ripristini il vecchio sistema di rivalutazione per gli anni 2023 e 2024, poiché ciò comporterebbe una spesa di oltre 6 miliardi di euro, mettendo a rischio i conti pubblici. Infatti, anche in passato la Corte non ha mai ordinato il recupero delle somme perse a causa del blocco della rivalutazione.
Tuttavia, una decisione della Corte potrebbe influenzare le politiche future del governo. Ad esempio, nella sentenza n. 234 del 2020, la Corte ha stabilito che il legislatore può modificare le regole della rivalutazione per le pensioni più alte, purché tale blocco non duri più di tre anni. Con il blocco in atto da diversi anni, la Corte potrebbe obbligare il governo Meloni a rivedere i piani per il 2025, che attualmente prevedono un'ulteriore riduzione della perequazione per le pensioni superiori a quattro volte il minimo.

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