Pubblicato il: 16/09/2024

Nel corso di un incarico, un avvocato potrebbe venire a conoscenza di notizie relative a questioni personali del proprio assistito. Magari, il legale potrebbe essere informato di un reato commesso in passato dall’assistito.

L’avvocato può denunciare questo reato oppure opera il c.d. segreto professionale?

In generale, quando si parla di segreto professionale, s’intende l’obbligo giuridico – previsto in capo al professionista – che consiste nel dovere di non rivelare a terzi le informazioni conosciute nell’esercizio della propria professione.

Per quanto riguarda la figura dell’avvocato, il segreto professionale viene espressamente previsto dall’art. 28 del Codice deontologico forense.

Il codice deontologico forense stabilisce le norme di comportamento che l’avvocato deve osservare in via generale e, in modo specifico, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti.
 
L’art. 28 stabilisce che il segreto professionale è un dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato.
 
Nello specifico, l’avvocato deve mantenere il riserbo e il segreto professionale non solo sull’attività svolta e su tutte le informazioni date dal cliente, ma anche su quelle notizie che ha conosciuto in dipendenza del mandato (ossia, durante l’espletamento dell’incarico).  
 
Peraltro, l’avvocato deve rispettare il segreto professionale non solo durante l’espletamento dell’incarico. Infatti, sempre l’art. 28 del codice deontologico precisa che il segreto professionale deve essere mantenuto anche quando il mandato sia stato adempiuto, concluso, rinunciato o non accettato.
 
Quindi, l’avvocato può violare il segreto professionale e denunciare il reato che il proprio assistito ha commesso in passato?
 
In linea generale, la risposta è no, ma ci sono delle deroghe. Vediamole insieme.
 
Prima bisogna precisare che il nostro sistema rafforza l’obbligo di segreto professionale, qualificandolo come un limite all’obbligo di rendere testimonianza.
 
Basti pensare che, nel processo penale e nel processo civile, rispettivamente l’art. 200 del c.p.p. e l’art. 249 del c.p.c. prevedono espressamente che gli avvocati non possano essere obbligati a testimoniare su quanto conosciuto in ragione della loro professione, salvi i casi in cui essi hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria.
 
Però, al di là di quanto appena detto in tema di testimonianza nel processo, la violazione del segreto professionale da parte dell’avvocato può configurare un illecito disciplinare e può determinare, innanzitutto, l’applicazione di sanzioni disciplinari.
 
Il codice deontologico (ultimo comma dell’art. 28) stabilisce che la violazione dei doveri di riserbo comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, quando la violazione riguarda il segreto professionale, si applica la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
 
Oltre ad un illecito disciplinare, la violazione del segreto professionale può configurare anche un reato. Difatti, il codice penale (art. 622 del c.p.) punisce colui che, a causa della propria attività o professione, ha notizia di un segreto altrui e lo rivela senza giusta causa.
 
La rilevazione di segreto professionale è punita con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 a 516 euro.
 
Tuttavia, quali sono i casi in cui l’avvocato non è tenuto al segreto?
 
Come detto, l’art. 28 del codice deontologico forense indica delle eccezioni.
 
La norma deontologica stabilisce che l’avvocato può derogare ai doveri di riserbo e di segreto professionale nel caso in cui la divulgazione di quanto conosciuto sia necessaria ad uno dei seguenti scopi:

  • per lo svolgimento dell’attività di difesa;
  • per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;
  • per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita;
  • nell’ambito di una procedura disciplinare.
 
Comunque sia, la normativa specifica che, nei casi in cui l’avvocato può derogare al segreto, la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.

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