Panorama Panorama

  • Boccia-Sangiuliano: per capirci qualcosa occhio alle date…
    by Maurizio Belpietro on 6 Settembre 2024 at 8:47

    Nella vicenda che sta terremotando il ministero della Cultura e un po’ anche il governo bisogna tener d’occhio alcune date. La vicenda fra Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia comincia nello scorso maggio, ma le avvisaglie dei guai che seguiranno si intravedono all’inizio di luglio, quando la giovane donna inizia a muoversi dentro il Palazzo di via del Collegio romano come se fosse casa sua. Sono di quei giorni i contatti via mail con alcuni funzionari del dicastero e sempre in quei giorni si parla in una mail della ventilata nomina quale consigliere del ministro per i Grandi eventi. I due, Sangiuliano e Boccia, sembrano andare d’amore e d’accordo e infatti di quel periodo sono anche le trasferte e pure i primi servizi fotografici che oggi ritroviamo su varie riviste. Secondo la ricostruzione che lo stesso ministro ha fatto nell’intervista al direttore del Tg1, tra la fine di luglio e gli inizi di agosto il rapporto però si incrina. Anzi, si esaurisce, dice lo stesso Sangiuliano, il quale precisa che dall’8 di agosto le comunicazioni tra loro cessano. Basta telefonate, niente messaggini, stop alle emoticon con i cuoricini. Però, fra l’8 di agosto e il 26 a quanto pare resta in sospeso la nomina a consigliera del ministro per i Grandi eventi. Sangiuliano le ha comunicato che il prestigioso incarico, ancorché gratuito, non ci sarà? Le ha detto che la designazione è osteggiata dai funzionari del ministero o dalla moglie? Non si sa, tuttavia una cosa è certa: il 26 agosto alle ore 12.31 il ministro invia una mail al suo capo di gabinetto per chiarire che la nomina di Maria Rosaria Boccia non s’ha da fare. Sangiuliano pare accogliere le obiezioni dei suoi collaboratori e dunque chiude la faccenda. Che però non è chiusa per la donna con cui ha avuto una relazione, la quale, un’ora esatta dopo l’invio della mail in cui il ministro dice di «non perfezionare gli atti», posta sui suoi profili social la notizia della nomina a collaboratrice del ministro. Non è vero, ovviamente. Perché lo fa? Forse crede davvero che l’incarico sia cosa fatta e a confortarla è un contratto che lei, ma a quanto pare non lui, ha firmato? Oppure ha avuto notizia che il ruolo di braccio destro del ministro per i Grandi eventi è sfumato? Cioè: Maria Rosaria Boccia con quei post su Facebook e Instagram sta provando a forzare la mano di Sangiuliano per indurlo a firmare oppure è ancora convinta di avercela fatta? Nessuno, se non lei, può rispondere.Leggi l’articolo completo su La Verità

  • Il bengodi russo, alla faccia delle sanzioni
    by Guido Fontanelli on 6 Settembre 2024 at 5:14

    Così l’economia di Mosca, che l’Occidente ha cercato di neutralizzare dopo l’attacco all’Ucraina, rimane florida. Ben più di quella degli avversari. Se questo è l’effetto delle sanzioni, potremmo chiederne un po’ anche noi: la Russia corre quest’anno a un ritmo del 4 per cento, vanta un tasso di disoccupazione di appena il 2,4 per cento e i redditi dei cittadini crescono del 14 per cento. Numeri che fanno impallidire la performance italiana: se va bene il nostro Pil salirà quest’anno dell’1 per cento con il 7 per cento di disoccupati. Perfino gli Stati Uniti fanno peggio dei russi, con un Pil al 3,1 per cento e una disoccupazione al 4,3 per cento. Anzi, nessuna capitale occidentale presenta dati di crescita migliori di quelli di Mosca. Eppure la Russia è stata bersagliata da una raffica di sanzioni fin dall’annessione della Crimea nel 2014 e poi dall’invasione dell’Ucraina nel 2022: blocco dell’importazioni di una serie di prodotti, esclusione delle banche dai circuiti internazionali, congelamento dei beni della Banca centrale russa, chiusura delle sedi di molte aziende occidentali, oligarchi messi al bando. Misure a cui Mosca ha risposto con iniziative analoghe contro le importazioni dall’Europa e dagli Usa. Nel caso dell’Italia, le nostre esportazioni verso la Russia sono passate da 7,6 miliardi di euro nel 2021 a 4,6 miliardi nel 2023 e continuano a scendere, mentre le nostre importazioni, soprattutto gas, petrolio e carbone, sono crollate nel triennio da 13,9 a quattro miliardi di euro, una caduta che non si ferma: tra gennaio e aprile di quest’anno gli acquisti sono diminuiti di un ulteriore 50 per cento.Nonostante questo, le prospettive per la nazione guidata da Vladimir Putin sono positive anche per il futuro: per la fine del 2024 il Fondo monetario internazionale prevede che il Paese crescerà del 3,2 per cento, più di Regno Unito, Francia e Germania, mentre per il 2025 si aspetta un aumento del Pil dell’1,8 per cento. Naturalmente la situazione economica di Mosca non è tutta rose e fiori: l’inflazione viaggia oltre il 9 per cento, mentre i tassi di interesse veleggiano sul 15 per cento per difendere il rublo. Chi ha conoscenti nelle città lontane dalla capitale riferisce di molti negozi con le saracinesche abbassate, della mancanza di tanti beni occidentali, rimpiazzati da un’invasione di prodotti cinesi. Però il clima tra i consumatori russi è tutt’altro che negativo, visto che i redditi aumentano più dell’inflazione. Secondo Petya Koeva Brooks, vicedirettore del Fondo monetario, a sostenere l’economia di Mosca sarebbero gli investimenti delle imprese aziendali e statali e la «robustezza del consumo privato». Sber­bank, la più grande isti­tu­zione finan­zia­ria del Paese, osserva infatti che a giu­gno la spesa com­ples­siva dei con­su­ma­tori è aumen­tata del 20 per cento anno su anno in ter­mini nomi­nali.Il settimanale britannico The Economist scrive che «il potere d’acqui­sto dei russi sta aumen­tando rapi­da­mente. In con­tra­sto con i cittadini di quasi tutti gli altri Stati, loro non si lamentano dell’eco­no­mia. La fidu­cia dei con­su­ma­tori, misu­rata dall’agen­zia sta­ti­stica locale, è ben al di sopra dei livelli di quando Putin ha assunto il potere 24 anni fa». In base alle informazioni raccolte dall’Economist, i russi sarebbero più inclini a fare grandi acqui­sti, come un’auto o un elettrodomestico, e i risto­ranti sarebbero presi d’assalto. L’anno scorso la Russia ha impor­tato il 18 per cento in più di cognac rispetto al 2019 e l’80 per cento in più di spu­mante. Inoltre le sanzioni occidentali vengono spesso aggirate mentre il Paese continua a esportare gas e petrolio in grandi quantità: quest’anno la Russia incassa ancora circa 750 milioni di euro al giorno grazie all’export di fonti fossili, contro il 1.100 milioni del 2022. La Cina è oggi il maggior acquirente di petrolio e carbone russi, mentre l’Unione europea è il primo consumatore di gas liquefatto.Ad alimentare il benessere dei russi è soprattutto la politica fiscale di Putin, che rispetto alla prima ondata di sanzioni post-2014 ha cambiato linea, passando dall’austerità all’espansione: grazie alle enormi riserve finanziarie accumulate nella fase «di stretta», oggi Mosca può permettersi di aumentare la spesa pubblica, che in media si è gonfiata del 15 per cento sia nel 2022 e nel 2023. E di conseguenza quest’anno il defi­cit di bilan­cio salirà al 2 per cento del Pil, un valore che a noi sembra piccolo ma per gli standard russi è molto pesante. La spesa pubblica si riversa sull’industria bellica per sostenere la guerra in Ucraina, ma non solo. A luglio Putin ha rad­dop­piato il bonus fede­rale per coloro che si iscri­vono a com­bat­tere. Il governo sta impe­gnando ingenti somme per risar­cire le fami­glie delle per­sone uccise in azione. Sono previsti aumenti per alcune pensioni, investimenti nel welfare e nelle infrastrutture come le autostrade. Spese «à go-go» per tenere buona la popolazione. Per quanto tempo? Secondo un’analisi pubblicata dalla rivista Fortune a firma di quattro economisti, di cui due della Yale University, uno svedese e un ucraino, Putin sta bruciando nel camino tutto l’arredamento di casa e sulla Russia incombe una «catastrofe economica». Putin non può gestire i defi­cit di bilan­cio per sem­pre: ai tassi attuali, le riserve della Rus­sia spa­ri­ranno nel giro di cin­que anni e a quel punto saranno dolori, mentre nel frattempo l’inflazione farà arrabbiare i cittadini. E nel frattempo le sanzioni potrebbero diventare più dure.In un documento del 25 luglio scorso siglato dai ministri delle Finanze di Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia e Svezia, si invita l’Occidente ad «aumentare ancora di più la pressione» sulla Russia. Gli otto ministri scrivono che «il presidente Vladimir Putin e il suo regime autoritario stanno spacciando la falsa narrazione secondo cui l’economia russa è forte e che la sua macchina da guerra è illesa dalle sanzioni occidentali. Questa è una bugia che va confutata. In effetti, ci sono molti segni che la loro economia di guerra si sta deteriorando. Le sanzioni e altre misure per indebolire l’economia sono efficaci, ma si può fare ancora di più. Dobbiamo continuare ad aumentare la pressione sul regime di Putin e sostenere l’Ucraina». Nel documento si sottolinea che l’economia di Mosca è sempre più orientata verso l’industria bellica, sostenuta da un grande stimolo fiscale. Le fabbriche di armi sono già al massimo della capacità. La disoccupazione è scesa al punto che il presidente avrebbe approvato la sostituzione della reclusione in carcere con il lavoro forzato. Il mercato del lavoro sotto tensione sta provocando il rialzo dei salari, mentre il rublo più debole aumenta i prezzi delle importazioni e sta contribuendo a un’inflazione sempre più elevata, nonostante gli sforzi della Banca centrale russa per combatterla con alti tassi di interesse. Insomma, ciò che potrebbe essere percepito e scambiato come una «spinta» per la crescita sarebbe invece l’inizio di una «ri-sovietizzazione» dell’economia. È possibile. Ma è altrettanto vero che l’economia russa sta dimostrando una resilienza sorprendente alle sanzioni e al parziale isolamento in cui si è confinata dopo l’attacco all’Ucraina. Quindi, per ora, la festa con­ti­nua.

  • Dirottare il Futuro | La censura di X in Brasile: il conflitto tra Musk e la Giustizia
    by Giulio Coraggio on 6 Settembre 2024 at 5:00

    Quando uno scontro tra Elon Musk e il giudice brasiliano Alexandre de Moraes mette in discussione il futuro della libertà di espressione online e crea un precedente pericoloso nelle democrazie moderne.

  • Addio a Vega Standard, successo per l’ultima missione con Sentinel-2C
    by Sergio Barlocchetti on 5 Settembre 2024 at 18:30

    Un razzo europeo Vega è decollato per la sua ultima missione alle 21:50 del 4 settembre dallo spazioporto di Kourou, nella Guiana francese, portando con sé il satellite per l’osservazione della Terra Sentinel-2C, che è stato posizionato correttamente in orbita 57,5 minuti dopo il lift-off (così si chiama il distacco dalla rampa), suscitando applausi e strette di mano tra i tecnici del centro di controllo della missione. Vega, gestito da Arianespace, è un vettore alto 30 metri che può trasportare 1.500 chilogrammi di carico utile fino in un’orbita circolare di 700 chilometri sopra la Terra. Aveva debuttato nel febbraio 2012 e finora ha effettuato un totale di 22 missioni, 20 delle quali con successo. Durante la sua vita operativa il piccolo e maneggevole razzo ha lanciato missioni di punta dell’Agenzia spaziale europea (Esa). La famiglia Vega garantisce all’Europa un accesso versatile e indipendente allo spazio, completando la famiglia di razzi Ariane per il lancio di satelliti in qualsiasi orbita, con il continuo supporto di Vega-C e del razzo pesante Ariane 6. La missione del 4 settembre è stata l’ultima corsa per la versione “standard”, poiché Arianespace sta trasferendo le sue operazioni riguardanti i “piccoli satelliti” al nuovo e più potente Vega C. Questo finora è stato lanciato due volte: nel luglio 2022 e poi di nuovo a dicembre dello stesso anno. La prima missione ha avuto successo, mentre la seconda è fallita a causa di un difetto nell’ugello di scarico del motore del secondo stadio del razzo. Modificato e verificato, il Vega C dovrebbe tornare in volo verso la fine di quest’anno. Ora il satellite Sentinel-2C, terzo della famiglia che forma il sistema Copernicus, è entrato in servizio e Costantin Mavrocordatos, Project Manager presso l’Esa, ha dichiarato: “Sono entusiasta, questo satellite è una pietra miliare resa possibile solo grazie alla dedizione e al duro lavoro del nostro straordinario gruppo di lavoro. Insieme, abbiamo compiuto un altro decisivo passo nel progresso dell’osservazione della Terra e nel sostegno di applicazioni fondamentali per la salvaguardia del nostro pianeta.” La Direttrice dei programmi di osservazione della Terra dell’agenzia, Simonetta Cheli, ha commentato: “Questo lancio celebra un’ulteriore consolidata collaborazione tra l’Agenzia e la Commissione Europea. Questa missione conferma ulteriormente il ruolo di Copernicus come programma di riferimento nella lotta contro i cambiamenti climatici e nel fronteggiare le sfide ambientali globali, garantendo al contempo la continuità di dati fondamentali per sostenere l’agricoltura, la silvicoltura, il monitoraggio marittimo e numerosi altri settori. Insieme, stiamo rafforzando l’impegno dell’Europa verso un futuro sostenibile, fornendo ai decisori gli strumenti necessari per proteggere il nostro pianeta.” Il Direttore dei Trasporti spaziali dell’Esa Toni Tolker-Nielsen, ha dichiarato: “Il razzo europeo Vega ha lanciato i due precedenti satelliti Sentinel-2 nel 2015 e nel 2017. Questo lancio rappresenta, quindi, un congedo appropriato per un razzo di così grande successo. I gruppi di lavoro stanno già preparando il prossimo lancio dell’aggiornato Vega-C, previsto entro la fine dell’anno.” La missione Copernicus Sentinel-2 fornisce già immagini ottiche ad alta risoluzione per una vasta gamma di applicazioni, tra cui il monitoraggio delle terre, delle acque e dell’atmosfera. Essa si basa su una costellazione di due satelliti identici che orbitano nello stesso percorso ma distanziati di 180° l’uno dall’altro, e sono Sentinel-2A e Sentinel-2B. Insieme, coprono tutte le terre e le acque costiere della Terra ogni cinque giorni. L’ingresso in orbita di Sentinel-2C comporterà la sostituzione di Sentinel-2A, che avverrà dopo un breve periodo di osservazioni congiunte. Sentinel-2D subentrerà poi a Sentinel-2B. Successivamente, la missione Sentinel-2 Next Generation continuerà a garantire la continuità dei dati oltre il 2035. Gli attuali satelliti Sentinel-2 sono equipaggiati con un sistema di rilevamento multispettrale ad alta risoluzione che genera immagini ottiche nello spettro delle lunghezze d’onda visibili e nell’Infrarosso. Dalla loro quota di 786 km forniscono immagini continue in 13 bande spettrali con risoluzioni da 10 a 60 metri e una larghezza di scansione di 290 km. I dati di Sentinel-2 sono attualmente usati per una vasta gamma di applicazioni, tra cui l’agricoltura, il monitoraggio della qualità dell’acqua e la gestione dei disastri naturali, inclusi incendi, eruzioni vulcaniche e alluvioni. La missione ha superato le aspettative iniziali, dimostrando, ad esempio, la sua capacità di rilevare le emissioni di metano. Per l’agricoltura, la missione aiuta a monitorare la salute delle colture, prevedere i raccolti e facilitare l’agricoltura di precisione. Le immagini sono utilizzate per identificare il tipo di coltura e determinare variabili biofisiche come l’indice di superficie fogliare, il contenuto di clorofilla e il contenuto di acqua delle foglie per monitorare la crescita e la salute delle piante. I dati di Sentinel-2 sono disponibili gratuitamente tramite il Copernicus Data Space Ecosystem, che fornisce accesso immediato a una vasta gamma di dati provenienti sia dalle missioni.

  • Crisi del Servizio Sanitario Nazionale: un piano straordinario per 30.000 nuove assunzioni
    by Linda Di Benedetto on 5 Settembre 2024 at 18:03

    Il governo Meloni punta su un piano ambizioso per rafforzare il personale medico e infermieristico, ma le sfide per finanziare e attrarre nuovi professionisti restano enormi.«Ora più che mai, il futuro del nostro sistema sanitario dipende dalla capacità di investire sul capitale umano» commenta il ministro della Salute Orazio Schillaci che da dietro le quinte sta lavorando per garantire nuove assunzioni di personale medico e infermieristico, puntando a rafforzare una sanità sempre più in difficoltà.Da anni, il Servizio Sanitario Nazionale versa in una condizione di profonda crisi dove gli ospedali faticano a far fronte alla crescente domanda di cure, con corsie sovraffollate e personale medico e infermieristico sempre più ridotto all’osso. Una carenza di professionisti che in alcuni casi ha costretto interi reparti ospedalieri a chiudere o a ridurre drasticamente la propria attività. Una crisi ulteriormente esacerbata dalla Pandemia che ha messo in luce le fragilità strutturali di un sistema non solo carente di personale, ma che negli ultimi 10 anni ha visto la chiusura di 125 ospedali e la perdita di 32.500 posti letto.In questo contesto di crescente difficoltà, la premier Giorgia Meloni e il ministro della Salute Orazio Schillaci stanno elaborando un piano straordinario per l’assunzione di 30.000 tra medici e infermieri entro i prossimi tre anni. Una manovra che, se attuata con successo, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per il sistema sanitario nazionale.L’idea è semplice quanto ambiziosa: rimettere al centro la sanità, investendo sulle risorse umane, quelle che davvero fanno funzionare il sistema. Il piano di assunzioni, che dovrebbe partire dal 2025, rappresenterebbe una svolta storica, non solo per la sanità ma per l’intero Paese, ma non sarà facile trovare le coperture necessarie. Le stime iniziali parlano di un costo superiore al miliardo di euro, spalmato su tre anni, ma con i bilanci già sotto pressione, il governo dovrà cercare soluzioni creative per trovare i fondi senza far saltare l’intero impianto della manovra.Ma anche ammesso che si trovino le risorse, rimane un’altra grande sfida: trovare i professionisti. Negli ultimi anni, concorsi per medici e infermieri sono spesso andati deserti. Le retribuzioni nel pubblico non sono più competitive, e sempre più operatori sanitari scelgono di lavorare all’estero o nel privato, dove le condizioni economiche e professionali sono migliori.Proprio per rispondere a questo problema, il ministro Schillaci sta lavorando a una misura complementare al piano assunzioni: l’introduzione di una flat tax al 15% sull’indennità di specificità per medici e infermieri. Un modo per rendere più appetibili gli stipendi e invogliare i professionisti a restare nel servizio pubblico. L’idea si ispira al recente intervento di detassazione sugli straordinari previsto nel decreto liste d’attesa, e punta a mettere più soldi nelle tasche dei sanitari, rendendo il lavoro nel SSN più attrattivo.Un progetto che punta a invertire quella che ormai è una drammatica emorragia di personale. Basti pensare che negli ultimi anni, il fenomeno delle “dimissioni volontarie” ha raggiunto proporzioni preoccupanti: solo tra il 2021 e il 2022, circa 25mila tra medici e infermieri hanno abbandonato il servizio pubblico, attratti da opportunità più remunerative all’estero o nel privato.Cosi il destino della sanità pubblica italiana, e in parte anche del governo, potrebbe dipendere dalla capacità di trasformare queste promesse in realtà. Resta da vedere se le misure saranno sufficienti a invertire una tendenza che dura da anni dove le soluzioni temporanee adottate finora non sono bastate.«Le priorità che abbiamo indicato per il 2025 riguardano sia le assunzioni di personale sanitario, in particolare medici e infermieri, sia gli adeguamenti contrattuali per il personale del SSN in servizio» commenta a Panorama il Ministro della Salute, Orazio Schillaci.«Le nuove assunzioni – aggiunge – dovranno partire dai primi mesi del 2025, anche attingendo da graduatorie esistenti, per contrastare l’incremento della gobba pensionistica che potrebbe portare a gravi carenze negli organici del SSN. Gli adeguamenti contrattuali dovranno colmare quel gap che ancora esiste tra le grandi responsabilità alle quali i professionisti della salute sono chiamati e una remunerazione non in linea con le responsabilità e l’impegno richiesto. Ciò renderà maggiormente attrattive le professioni che oggi vedono una carenza di scelta da parte dei nostri giovani. Ovviamente la leva economica rappresenta una delle azioni che stiamo mettendo in campo per riportare le scelte dei nostri giovani verso professioni quali quella di medico, infermiere e verso ogni professione sanitaria».Quanti giovani partecipano ai bandi di emergenza-urgenza del servizio sanitario nazionale? «Nelle strutture del Servizio Sanitario Nazionale operano oltre 101 mila medici, di cui 4.312 sono specialisti in emergenza-urgenza. Aumentare il numero di posti disponibili per le specializzazioni non è una soluzione sufficiente se questi posti restano vacanti. L’anno scorso, ad esempio, solo uno su quattro posti banditi per la specializzazione in emergenza-urgenza è stato effettivamente assegnato. Questo trend evidenzia un crescente disinteresse da parte dei giovani medici verso tali percorsi formativi, che spesso sono caratterizzati da condizioni lavorative estremamente gravose. La carenza di personale, infatti, si somma a fenomeni come il burnout, creando un ambiente di lavoro difficile e poco attrattivo. Molti giovani professionisti preferiscono evitare specializzazioni che li esporrebbero a turni estenuanti, elevato stress psicofisico e carenze organizzative, scegliendo invece percorsi che offrano maggiore equilibrio tra vita professionale e personale. Se non si affrontano le radici di questa crisi, il sistema sanitario rischia di trovarsi sempre più in difficoltà nel garantire un’assistenza tempestiva ed efficace nelle situazioni di emergenza».

  • Alla Mostra del cinema di Venezia Iddu, dentro i pizzini di Matteo Messina Denaro
    by Simona Santoni on 5 Settembre 2024 at 17:16

    Cade la pioggia sul Lido, a salutare gli ultimi giorni di Mostra del cinema di Venezia 2024, dopo una sequela di sole incontrastato. E sotto un cielo livido ecco che arriva Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, il film sulla lunga latitanza di Matteo Messina Denaro. Proprio a poche ore dalla morte della mamma del boss. Iddu chiude il quintetto di film italiani in corsa per il Leone d’oro. Alla seconda proiezione per la stampa in Sala Grande, è stato accolto da un applauso contenuto. Noi non eravamo tra quelli che battevano le mani.La storia vera dietro a IdduMatteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra catturato nel gennaio del 2023 in una clinica privata, morto da lì a pochi mesi per un tumore, è interpretato da Elio Germano, che si mette addosso l’accento siciliano. I fatti che hanno ispirato Iddu si riferiscono all’anno 2004, quando il capomafia, secondo la rivista americana Forbes, era il terzo latitante più ricercato al mondo. «Con le persone che ho ucciso potrei riempirci un mio cimitero privato», si vantava il boss prima della latitanza.Nell’autunno del 2004 iniziò il carteggio tra lui e Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, suo paese d’origine, incaricato dai servizi segreti italiani di dar vita a una corrispondenza epistolare con il capomafia latitante, sfruttando l’antica consuetudine familiare fra l’ex primo cittadino e il padre di Matteo, il boss mafioso Francesco Messina Denaro. Grazie allo scambio di “pizzini” tra il latitante e l’ex sindaco, gli investigatori individuarono la rete di postini che proteggevano e favorivano la latitanza del boss. La sua cattura sembrava a portata di mano ma nel 2006 la corrispondenza s’interruppe perché qualcuno interno alle indagini svelò alla stampa la collaborazione dell’ex sindaco con i servizi segreti. Messina Denaro s’inabissò nuovamente.Il ruolo che ebbe l’ex sindaco è affidato al personaggio immaginario di Catello Palumbo, interpretato con estro da saltimbanco da Toni Servillo. Attorno ai fatti veri, poi, c’è la fiction, che muove Iddu con fili pesanti e dialoghi artificiosi che rendono il racconto tedioso e disorientante, soprattutto quando si muove tra marescialli, appuntanti e l’agente Rita Mancuso, altro personaggio fittizio interpretato da Daniella Marra. Non si entra quasi mai, davvero, nell’intimità del boss. Da sinistra: Toni Servillo, Fabio Grassadonia, Antonio Piazza ed Elio GermanoChi era Matteo Messina Denaro nei suoi pizziniGrassadonia e Piazza, entrambi siciliani, si erano fatti notare nel 2013 a Cannes con Salvo, storia poetica di mafia e solitudine. In Sicilian Ghost Story (2017) invece avevano narrato in chiave favolistica l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo: tra i responsabili del rapimento c’era Matteo Messina Denaro.«Abbiamo cominciato a lavorare a Iddu qualche anno fa. A lungo la figura di Matteo Messina Denaro è stata sottovalutata, non si è capita la grande importanza di questo criminale quindi la ricerca non è stata approfondita», racconta il regista Grassadonia. «Poi ci siamo imbattuti nel carteggio sviluppato tra il 2004 e il 2006, in una decina di lettere, molto interessanti. Al di là delle poche righe sui suoi affari, Messina Denaro si dilungava molto su se stesso ed emergeva il ritratto di uno strano narciso. Il sindaco invece sembrava incarnare un certo tipo di maschera di commedia all’italiana. Abbiamo riconosciuto in questo epistolario il seme di una possibile storia».Mentre il film era in produzione, è sopraggiunto l’arresto del boss. «Sono usciti più materiali e audio su di lui. Abbiamo quindi interrogato il ritratto che ne avevamo fatto con i dati che emergevano e ci siamo resi conto che il nostro affresco era abbastanza fedele. E abbiamo proseguito il lavoro». Toni Servillo ed Elio Germano nel film “Iddu” (Credits: Giulia Parlato)“Oggi mi ritrovo ad aver letto davvero tanto, essendo la lettura il mio passatempo preferito”, scriveva Messina Denaro nei “pizzini” attraverso cui gestiva la sua vita in clandestinità. Gli scritti spesso trascendevano la loro funzione pratica di comunicazione criminale, mostrando un certo gusto per l’uso del linguaggio e la capacità di modulare il tono e la lingua a seconda dei diversi destinatari, come si evince da Iddu. «Messina Denaro leggeva Baudelaire, Dostoevskij. Nei suoi luoghi sono stati trovati 200 dvd tra cui Antonioni, ovviamente Coppola, Papaleo e Sex & the city», dice Piazza. Iddu affronta lievemente anche il rapporto del boss con le donne. «Il suo rapporto con le donne lo rende una figura peculiare, perché siamo abituati a boss sposati con santini nelle tasche mentre lui non si è mai sposato. Dietro si nasconde un patriarcato patologico che non può che dare frutti malati».Il bilancio dei film italiani in concorso a VeneziaArchiviato Iddu, presto alla prova del pubblico (arriverà nelle sale a ottobre con 01 Distribution), a Venezia 81 è finita la passerella dei cinque italiani in corsa per il Leone d’oro. I film che ci sono piaciuti di più del quintetto? Vermiglio di Maura Delpero, che sembra aver centrato i cuori anche della stampa estera, e Queer di Luca Guadagnino, già abituato a smuovere consensi internazionali. Tra le vette della Val di Sole, in Trentino, Vermiglio fotografa l’Italia alla fine della Seconda Guerra mondiale, tra ritualità cadenzate dalle stagioni e un pregnante naturalismo. Queer invece è una storia d’amore, ossessione e dipendenza che, quando non si dilunga, sa essere intensa. Con Daniel Craig fragile e innamorato.Arriveranno per loro premi? Se dovessimo fare una puntata a cuor leggero, diremmo di sì.

  • Italia in ritardo sulle startup: investimenti in calo
    by Cristina Colli on 5 Settembre 2024 at 17:00

    L’Italia è e resta indietro sulle startup. Si scommette ancora poco sulle imprese giovani. Dopo l’exploit del 2022 (2miliardi di euro di investimenti), nel 2023 si è scesi di quasi la metà e il primo semestre del 2024 ha registrato -48% rispetto ai primi 6 mesi dell’anno precedente. La fotografia è stata scattata alla vigilia della quarta edizione di Rome Startup Week, il festival internazionale organizzato il 19 e 20 settembre da Roma Startup insieme Future4 Comunicazione, Orange Media Group e The Growth Kitchen. Qui verrà chiesto al governo di intervenire, con un nuovo startup act, dopo quello del 2013. “E’ ora di seguire le regole internazionali dei soggetti che giocano questa partita da sessant’anni come gli Usa, da 25 anni come Germania e Gran Bretagna o da15 anni come la Francia. A Parigi nel 2010 si investivano 100 milioni l’anno e oggi si parla già di 12 miliardi. Mentre l’Italia? Che la matrice del nostro startup act fosse sbagliata è evidente da anni, ma sta diventando drammaticamente evidente oggi perché ormai qualunque paese industrializzato sta generando nuove multinazionali nel settore, mentre noi continuiamo ad essere assenti”, spiega Gianmarco Carnovale presidente Roma Startup e membro del direttivo Allied For Startups.Nel 2022 gli investimenti in startup in Italia hanno toccato i 2 miliardi di euro, un exploit. Nel 2023 si è scesi del 51,5% con 1,130 miliardi di euro in Italia, a fronte di 41 miliardi raccolti in Europa dalle startup. Nei primi 6 mesi di quest’anno gli investimenti (87 deal) in Italia hanno raggiunto i 250 milioni di euro (-48% rispetto ai primi 6 mesi del 2023). In quali settori? IT (7,8%), biotech (7,8%), software (6,7%), manifattura (6%) e poi risorse umane, tecnologie applicate allo sport e space tech (5,6%). Ultimi in classifica (3,2%) per trasporti, food, fintech, AI, moda e e-commerce. A fine 2023 erano 16500 le startup attive in Italia (oltre 4mila sono in Lombardia). Le imprese guidate da donne sono il 22,2% e le startup innovative con una founder femminile sono poco più di una su 10. Per quanto riguarda gli investimenti la parte del leone sono i round da 1 a 5 milioni di euro (il 41,3%), seguita da quelli tra i 500mila e 1 milione di euro (il 34,8%). Solo il 9% riguarda investimenti da 5 a 10 milioni e superiori ai 10 milioni. La Lombardia è la regione dove ci sono più finanziamenti (48,27%). A seguire: Lazio (14,9%); Piemonte (9,19%), Campania, Toscana, Veneto, Emilia-Romagna e Umbria (3,44%). In Europa? Le startup attive sono 41mila e sono soprattutto a Londra, Berlino Barcellona e Amsterdam. Nel resto d’Europa i settori in cui si è investito di più sono diverse da quelli italiani: eCommerce, Marketplace e Mobile (il più attivo dal 2018) e Fintech. Unicorni? Solo 7 startup hanno raggiunto il valore di 1 miliardo di euro nel 2023, contro le 48 dell’anno del boom, il 2022. Qui gli investimenti solo nei primi tre mesi dell’anno sono stati di 11 miliardi di euro.L’Italia tra i Paesi industrializzati resta indietro dunque sugli investimenti in venture capital e nuove imprese tecnologiche scalabili globalmente, anche se sta aumentando il numero degli investitori (Venture Capital e-Business Angel) che hanno expertise e conoscenza nel campo delle startup. Ma la mancanza di densità (poca aggregazione di comunità di innovazione) e di cultura di settore rallentano la crescita del settore e frenano gli investimenti non solo per fare aumentar il numero di startup ma soprattutto per diventare competitive a livello globale. Questo a ruota porta a meno posti di lavoro, fuga dei cervelli dall’Italia e crollo demografico che ha un impatto evidente sul sistema Italia generale. “I Paesi del mondo che stanno più spingendo sul venture capital e le startup stanno invertendo l’inverno demografico. Più venture capital e startup significa più posti di lavoro qualificati per i giovani che quindi hanno più tranquillità nel fare famiglia. È un modo per trattenere talenti ben pagati che fanno figli”, aggiunge Carnovale. Non è una questione che riguarda solo Roma. Tutta l’Europa, anche se gli altri Paesi vanno più forte, tutti rincorrono Stati Uniti e Cina. E così dal festival di Roma (50 eventi e 30 delegazioni di Paesi, il meglio dell’Italia e del bacino del Mediterraneo) verrà lanciato un manifesto per un nuovo startup act. “Nel 2013 è stato perimetrato in modo approssimativo e contradditorio quello che è il sistema dell’industria dell’innovazione. Sono state stabilite solo alcune definizioni sbagliate e non i modelli e le relazioni che intervengono tra tutti i soggetti che compongono l’ecosistema startup. Oggi è ora di giocare con le regole internazionali”, conclude Carnovale.

  • Disastri climatici, il conto è a 128 miliardi
    by Guido Fontanelli on 5 Settembre 2024 at 16:30

    Una montagna di dollari… Nei primi sei mesi del 2024 una serie di catastrofi naturali ha colpito duramente Giappone, Medio Oriente ed Europa. Ma sono le tempeste negli Stati Uniti a pesare di più sui costi per le assicurazioni. Nelle fredde statistiche delle compagnie di assicurazione la tragedia dello yacht Bayesian, naufragato il 19 agosto al largo di Porticello, in Sicilia, finirà nella colonna delle perdite causate da eventi atmosferici estremi. Il veliero trascinato a picco da una tromba d’aria è coperto da due polizze, una con la British Marine per un massimale di circa 500 milioni di dollari e un’altra con un pool di compagnie britanniche, che copre il costo dell’imbarcazione stimato in 30 milioni di euro. Cifre importanti che però rappresentano solo gocce nel mare degli esborsi che ogni anno il settore assicurativo deve affrontare a causa dei disastri naturali. Nel primo semestre di quest’anno, riferisce un rapporto della compagnia americana Gallagher Re, calamità come tempeste, uragani, inondazioni e terremoti hanno provocato a livello globale 128 miliardi di dollari di danni di cui 61 a carico del mercato assicurativo privato e pubblico (il 25 per cento in più rispetto alla media decennale). Secondo la società di riassicurazione tedesca Munich Re «in un confronto a più lungo termine, le perdite complessive nella prima metà del 2024 hanno nettamente superato i valori medi sia degli ultimi dieci anni che dei precedenti 30».Il disastro naturale più costoso della prima metà dell’anno è stato il terremoto che ha squassato il Giappone a Capodanno. Con una magnitudo di 7,5, ha scosso la costa occidentale del Giappone, vicino alla penisola di Noto. Numerosi edifici sono crollati e migliaia di persone sono rimaste senza elettricità o acqua pulita per settimane. Più di 240 giapponesi sono morti. Le perdite totali ammontano a circa 10 miliardi di dollari, con costi per le assicurazioni per quasi 3 miliardi. Le inusuali inondazioni che hanno investito in aprile Emirati arabi, Oman, Iran, Yemen e Bahrain hanno provocato invece danni per 8,3 miliardi con perdite assicurative per 2,8. Altri 8 miliardi sono costate le inondazioni tra aprile e maggio in Brasile, con 2 miliardi a carico delle compagnie. Ma a pesare sono soprattutto i tornado e le tempeste che flagellano gli Stati Uniti: nella prima metà dell’anno hanno causato danni per le compagnie di circa 37 miliardi, il 61 per cento delle perdite assicurate totali. Da gennaio a giugno, la National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) con sede negli Stati Uniti ha segnalato 1.250 tornado, ben al di sopra della media a lungo termine (820). Per ora, riferisce Munich Re, il 2024 è il quarto anno più costoso in termini di perdite per tempeste e forti temporali negli Stati Uniti.Neppure l’Europa è immune da eventi catastrofici: le alluvioni che tra maggio e giugno hanno flagellato la Germania sono al quarto posto nella graduatoria dei costi totali, con 5 miliardi di dollari di danni e perdite assicurative per 4,5 miliardi. Questi fenomeni sono stati attribuiti al «Genoa low», un ciclone che spinga l’aria calda e umida dal Mediterraneo nordoccidentale verso nord oltre le Alpi, producendo intense piogge e tempeste. Secondo i ricercatori, tali condizioni meteorologiche porteranno quantità sempre maggiori di precipitazioni con l’avanzare del cambiamento climatico. In Cina, nella provincia del Guangdong, forti piogge hanno causato in giugno gravi alluvioni. Case, strade e ponti sono stati distrutti, con conseguenti ingenti perdite finanziarie di almeno 5 miliardi di dollari, di cui solo una piccola percentuale era assicurata. «Con l’avanzare del cambiamento climatico» sostengono gli esperti di Munich Re «la comunità scientifica prevede che la frequenza e l’intensità delle piogge torrenziali aumenteranno in molte altre parti del mondo, tra cui l’Asia, l’Europa nord-occidentale e il Nord-est americano».Ma oltre ai danni diretti provocati da disastri naturali, il settore assicurativo guarda con preoccupazione agli effetti a cascata che essi hanno su economia e società. L’impresa di riassicurazione globale Swiss Re ha reso noto uno studio che sottolinea come gli incendi possono avere un impatto sulle infrastrutture idriche contaminando le fonti d’acqua o tagliando l’accesso all’acqua, mentre inondazioni e tempeste possono danneggiare le reti energetiche e interrompere le reti di trasporto, bloccando le linee di produzione a causa della mancanza di energia, portando alla perdita di tempo di produzione, al deterioramento dei materiali e ai ritardi nelle consegne. Tutti i rapporti delle compagnie di assicurazione puntano il dito sul riscaldamento globale, che alimenta gli eventi estremi. I sottoscrittori di polizze sono avvisati: a maggiore rischio corrispondono sempre premi più alti. E qualcuno dovrà pagarli.

  • L’ombra di Pechino si allunga sempre di più sull’Africa
    by Stefano Graziosi on 5 Settembre 2024 at 14:30

    Il Dragone rafforza la propria influenza sull’Africa. Ospitando a Pechino il Forum sulla cooperazione Cina-Africa, Xi Jinping ha promesso di voler creare “almeno” un milione di posti di lavoro nel continente africano. Il presidente cinese ha inoltre garantito di voler fornire ai Paesi africani 51 miliardi di dollari per finanziamenti vari nei prossimi tre anni, soprattutto nel settore energetico e infrastrutturale. “Abbiamo costruito insieme strade, ferrovie, scuole, ospedali, parchi industriali e zone economiche speciali. Questi progetti hanno cambiato la vita e il destino di molte persone”, ha detto. Secondo la Cnn, il leader cinese avrebbe anche promesso al continente 140 milioni di dollari in aiuti militari. Ricordiamo che l’Africa è, al contempo, il primo partner commerciale e il principale creditore della Cina. Tuttavia l’ attuale obiettivo di Xi non è soltanto di carattere economico, ma anche – e forse soprattutto – di natura geopolitica. Non è un mistero che, soprattutto negli ultimi due anni, le relazioni tra Pechino e Washington si siano notevolmente raffreddate. Il presidente cinese guarda quindi all’Africa per due ragioni interconnesse: vuole sottrarre ulteriormente terreno geopolitico agli americani e, soprattutto, rafforzare indirettamente la propria influenza in seno alle Nazioni Unite. Senza poi ovviamente trascurare che, consolidando la propria longa manus sul continente africano, Xi punta anche a mettere sotto pressione il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica. Per l’Occidente si tratta di un problema enorme, anche alla luce del fatto che la stessa Russia sta incrementando la propria influenza su alcune aree dell’Africa: dall’Est libico a vari Paesi del Sahel, come Mali, Burkina Faso e Niger. Un’area, questa, in cui sta guadagnando terreno anche quell’Iran, che, oltre a essere il principale alleato mediorientale di Mosca, ha anche siglato, nel 2021, un patto di cooperazione venticinquennale con Pechino. Si tratta di un ulteriore aspetto preoccupante che, nuovamente, rappresenta una potenziale minaccia per il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica. Tra l’altro, negli scorsi mesi, il Sahel è stato man mano abbandonato da varie forze militari occidentali: i soldati francesi hanno lasciato il Niger a dicembre e altrettanto hanno fatto di recente le truppe americane e tedesche.Per questa ragione, la Nato dovrebbe prestare maggiore attenzione a quello che succede in Africa. Inoltre, l’iperattivismo locale di cinesi, russi e iraniani rende ancora più urgente l’implementazione del Piano Mattei: un progetto che potrebbe rivelarsi un’efficace terza via tra l’arroganza postcoloniale francese e il terzomondismo ipocrita di Pechino, Mosca e Teheran.

  • Lido di Venezia, dove atterrano le star (da sempre)
    by Antonio Bozzo on 5 Settembre 2024 at 14:30

    Il «Giovanni Nicelli» fu inaugurato nel 1926, quando né Milano né Roma avevano uno scalo civile. Da allora è il preferito da attori e attrici che calcano il tappeto rosso del Festival del Cinema. Viaggio tra aneddoti e curiosità di un aeroporto che ha fatto epoca. Milano e Roma non avevano ancora aeroporti civili degni del nome quando nel 1926 in Laguna, a soli tre chilometri da piazza San Marco, inaugurò lo scalo aereo Giovanni Nicelli. Conosciuto anche come aeroporto di San Nicolò o di Venezia Lido, per la Bbc – il celebre servizio pubblico radiotelevisivo del Regno Unito – entra a pieno diritto nella lista dei dieci aeroporti più belli del mondo. Per questa meritata fama, e perché siamo certi che non tutti gli italiani ne hanno sentito parlare, Panorama gli dedica un «ingrandimento», proprio nei giorni in cui al Lido impazza la Mostra del Cinema numero 81 e le star sono più numerose delle gondole nei canali. Diciamo subito che il Nicelli non è archeologia aeronautica: lo scalo, con pista in erba lunga 994 metri e larga 45, ha registrato nel 2023 circa seimila movimenti, con provenienza prevalente da Germania, Austria, Svizzera. Il traffico, in costante incremento, è costituito da velivoli turistici e privati, con 2 o 4 posti, e dagli aerotaxi.Il Nicelli è comodo, un vero «city airport», a solo dieci minuti di navigazione dal cuore di Venezia. Inoltre, è un polo per attività commerciali e culturali, eventi, meeting, congressi, esposizioni d’arte, riprese cinematografiche e sfilate di moda. Fino al 1961, prima che aprisse lo scalo di Tessera, è stato l’unico aeroporto in Laguna, dove oltre che i voli di linea sbarcavano le star del grande schermo e le personalità richiamate dalla più antica mostra cinematografica del pianeta (fondata nel 1932, apice del Ventennio fascista). Scendevano la scaletta divi pronti a sfoderare sorrisi per i paparazzi, anche se negli anni Trenta ancora non si chiamavano così. Non c’è nome che abbia brillato sugli schermi che non sia passato da qui: Orson Welles, Cary Grant, Charlie Chaplin, Sophia Loren, Ingrid Bergman, Claudia Cardinale, Burt Lancaster, Luchino Visconti. La teoria di star, attori, magnati, famosi a qualsiasi titolo continua: cosa c’è di meglio che scendere al Lido in un aeroporto carico di cotanto fascino? Nel 2026 il Nicelli, restaurato a fondo tra 2006 e 2008 (con lavori di perfezionamento durante la pandemia da Covid), taglierà il secolo di vita. Ma già si sta celebrando – per decisione della società che lo gestisce, guidata dal presidente e ad Maurizio Luigi Garbisa – con la seconda parte (la prima ebbe corso nel 2023) di una mostra che confluirà in un’unica esposizione quando verrano spente le cento candeline.Fino al 29 settembre la mostra – curata da Giacomo Zamprogno e Gianni De Michelis con ricerche del comitato storico diretto da Massimo Dominelli – racconterà il periodo tra lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’apertura dell’aeroporto di Tessera. Fotografie, manifesti, filmati, cartoline e memorabilia aspettano il visitatore nel bunker militare anni Trenta, vicinissimo allo scalo. Guerra, Dopoguerra e Dolce vita sono i tre pilastri: l’ingresso è gratuito, con orario dalle 10 alle 18. La mostra è allestita da Ott Art, il catalogo (in italiano e inglese) è edito da Antiga Edizioni. Sarà motivo di orgoglio, per tutti, veneziani compresi, ripercorrere la storia dello scalo intitolato all’aviatore Giovanni Nicelli, caduto nel primo conflitto mondiale. Fu l’ingegner Renato Morandi a trasformare l’area in aeroporto civile, destinazione del primo volo di linea italiano, operato dalla compagnia Transadriatica. La stazione passeggeri, inaugurata nel 1935 dal Duca di Genova, era considerata la migliore d’Italia, all’avanguardia in Europa. Ancora oggi, molti anni dopo, per prendere Venezia al volo si può cominciare proprio qui.

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