Panorama Panorama
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Piombino rinasce dall’acciaio pulito
by Carlo Cambi on 21 Novembre 2024 at 17:30
Il ferro lì lo battevano gli etruschi con in faccia l’Elba. Questa è una storia di mille e mille anni fatta di mare, di coraggio, di fatica. Che oggi fa un tornante: Piombino si scopre di nuovo capitale dell’acciaio. Nella cittadina nell’estrema provincia meridionale di Livorno che conta poco più di 32 mila abitanti vengono cambiati e rilanciati gli stabilimenti siderurgici con un accordo tra Metinvest Adria – joint venture tra Danieli e gli ucraini di Metinvest – e Jsw Steel Italy, la filiazione del gruppo siderurgico indiano da 14 miliardi di dollari. L’investimento sarà colossale – si parla di due miliardi di euro – per produrre acciaio pulito qui dove nel 1897 nacque l’Italsider incorporando anche l’Ilva. Oggi Piombino sperimenta positivamente la coesistenza tra fabbrica e turismo e incassa una sorta risarcimento dopo la «violenza» del rigassificatore. «È stata la determinazione dei miei cittadini a renderlo possibile» scandisce con sincero orgoglio Francesco Ferrari, sindaco di Fratelli d’Italia riconfermato a giugno in quella che fu una delle città più comuniste d’Occidente. «Abbiamo detto no al rigassificatore, attraccato nel nostro porto dopo la crisi energetica del 2022, perché per decenni abbiamo sofferto l’inquinamento, perché vogliamo un futuro diverso, perché non vogliano vivere nella paura». La nave gasiera è in porto, ma una settimana fa sul golfo di Follonica sono state abbattute le due ciminiere alte una cinquantina di metri della centrale a petrolio dell’Enel che svettavano sulla città. «È il segno del cambiamento» dice Ferrari, ribattezzato l’«avvocato del popolo» per la sua professione, ma anche per quella professione di fede fatta nella battaglia sul rigassificatore: mai più violenza al territorio.Questo accordo è una vittoria o uno stato di necessità?È un successo che si deve alla determinazione della gente di Piombino che voleva un futuro certo, ma diverso dal passato. Ci siamo riusciti con un lavoro di mesi e mesi grazie all’impegno del governo e in particolare del ministro Adolfo Urso. Per la prima volta un governo ci ha ascoltato ed è stato vicino alla città. Sono felice che Piombino torni a essere un punto di riferimento della siderurgia italiana e internazionale, che riconquisti quel lustro industriale che ha sempre avuto. Era un obiettivo mio personale per rilanciare la città dopo anni di crisi. Dal 2014 c’è la cassa integrazione e l’indotto è stato di fatto azzerato. Ora si vedono nuove prospettive. L’investimento è colossale: Metinvest costruirà due forni elettrici per produrre laminati piani – e qui c’è anche la Magona che ha bisogno di questo prodotto – Jws continuerà a realizzare rotaie: laminati lunghi. Sono due prodotti indispensabili e con mercato garantito.Sindaco, lei ai tempi del rigassificatore poneva sempre l’obiezione: basta inquinamento a Piombino. E ora?Abbiamo avuto partita vinta. Gli impianti saranno lontani dalla città, abbiamo ottenuto che vengano bonificate le vecchie aree siderurgiche che saranno convertite a spazi pubblici, abbiamo la garanzia che le nuove lavorazioni saranno a bassissimo impatto ambientale. Piombino diventa l’esempio che si può avere sviluppo industriale e salvaguarda ambientale. Quando ero ragazzo a Piombino c’era lo «spolverino»: tutto aveva il color ruggine e c’era una continua separazione tra chi lavorava in fabbrica e difendeva il salario anche a costo della salute e chi, per esempio i commercianti, o i giovani, immaginava uno sviluppo diverso. Si viveva in case affacciate sugli altiforni. Oggi da quei balconi si vede il mare, ma la fabbrica torna a pulsare.Questa vicenda è un esempio anche per l’ex Ilva di Taranto?Non ho questa presunzione e poi, diciamolo con franchezza, le proporzioni sono diverse. Tuttavia è evidente che si può percorrere la strada dell’acciaio pulito, materiale di cui non si può fare a meno se si vuole assicurare sviluppo industriale al Paese. E si può con la determinazione dei cittadini e un’unità d’intenti, salvaguardare la salute e la vivibilità della città. Credo che da questo punto di vista la battaglia sul rigassificatore abbia cementato la volontà della città di difendere se stessa, il proprio territorio. In quella battaglia non c’è stata sinistra e destra, una categoria contro l’altra: c’è stata la comune volontà di rivendicare la tutela della propria identità e uno sviluppo possibile. Quella battaglia ha fatto emergere nella popolazione la consapevolezza del pregio del nostro territorio, ha fatto riscoprire le nostre antiche origini, la densità della nostra storia, i valori fondanti della nostra comunità. L’accordo industriale di questi giorni è la traduzione in positivo di quella volontà.Dica la verità: lei si sente un «verde» di destra?Sono un sindaco che pensa al bene dei suoi cittadini e prova a difenderlo.Ai tempi della mobilitazione contro la nave che rigassifica il metano ha rivendicato la vocazione turistica di Piombino. La nave è in porto e che accade con il turismo?Il turismo c’è: abbiamo superato il milione di presenze, siamo entrati nel G-20 turistico. L’abbattimento delle ciminiere dell’Enel per fare posto a un importante polo di sviluppo del settore dimostrano che questa vocazione economica fa parte del patrimonio di Piombino. Non è la sola perché l’anima industriale della città è ultramillenaria e il polo siderurgico farà da volano per un significativo indotto. Noi però vogliamo che il turismo sia la valorizzazione completa e compiuta del territorio, della nostra storia. Per decenni abbiamo avuto un turismo di passaggio, ma noi sappiamo che il nostro è una zona di enorme valore e vogliamo offrirlo al visitatore come manifestazione della nostra identità, puntando alla massima qualità e alla tutela più alta possibile del nostro ambiente. Per questo il rigassificatore non c’entra nulla con noi.Ma la nave Italis LNG è comunque in porto senza che sia successo nulla… La nave nel 2026 salperà, leverà gli ormeggi, statene certi. L’autorizzazione scade in quell’anno e al 2026 il Tar del Lazio ha fissato la fine delle attività del rigassificatore. Il nostro futuro da oggi è altro: è restituire a Piombino la centralità che merita e la prosperità che anni di crisi del sistema industriale hanno fiaccato.Sindaco, ma come ha fatto lei di destra a farsi eleggere e rieleggere a Piombino, che è una delle città più rosse d’Occidente?Quando mi hanno eletto la prima volta c’erano giovani che mi incontravano dicendomi: t’ho votato, ma se lo sa «ir mì nonno si rigira nella tomba»; credo che i cittadini si siano accorti che io da destra volevo rappresentare quelle istanze di salvaguardia del territorio che la sinistra non portava più avanti. Per la sinistra la tutela ambientale, per esempio, era una bandiera logora. Ho rovesciato alcuni luoghi comuni come quello che la destra non si preoccupa degli operai. La rielezione invece penso sia dovuta al fatto che Piombino si è resa consapevole del suo desiderio di riscatto e ha capito che per migliorare le condizioni di vita di ognuno e dare futuro alla città serve un grande cambiamento. Lo stiamo costruendo, magari anche con l’acciaio.
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Profondo blu. Vita, colori e magie nei fondali dell’Isola Dino
by Egidio Lorito on 21 Novembre 2024 at 16:30
“L’Isola Dino, più che per i ricordi storici, è interessante per le bellezze delle sue innumerevoli grotte marine, in molte delle quali, per l’angustia e la difficoltà dell’entrata e per lo sviluppo contorto e profondo, si racchiude ancora il mistero”. Siamo a Praia a Mare, in Calabria, all’interno del Golfo di Policastro, naturale luogo di incontro e fusione di tre regioni (Campania, Basilicata e Calabria), di tre provincie (Salerno, Potenza e Cosenza) e di ben tre Parchi nazionali (Il Cilento-Vallo di Diano, Il Sirino-Appennino lucano e il Pollino) e l’ammirazione di quei 50 ettari sospesi sul mare aveva spinto un sindaco storico e filosofo -Giuseppe Guida- tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo, a sottolineare come l’isola, per quanto non particolarmente estesa, primegiasse, invece, per quell’alone di mistero che la storia le aveva lasciato in eredità.Per il nome, innanzitutto: forse perché ospitava un tempio (aedina) dedicato a Venere o perché l’etimologia greca “dina”, (tempesta o vortice) la rendeva un vero pericolo per i naviganti che nel corso della storia si erano imbattuti nelle pericolose acque del suo punto occidentale più estremo, quello del Frontone. Mai chiamarla “Isola di Dino”! Si corre il rischio di essere coinvolti in accese e forbite dispute locali a causa di un errore di trascrizione avvenuto al Catasto di Cosenza. Errori della storia… Con un’altezza massima di un centinaio di metri che vengono affrontati da una strada che si inerpica sull’esteso altipiano sommitale, colpisce per aerei strapiombi sui quali la forza erosiva senza tempo del mare ha creato innumerevoli grotte: quella del “Monaco”, delle “Sardine”, delle “Cascate”, del “Leone” e la “grotta Azzurra”, tutte visitabili agevolmente. Per gli speleosub è la “grotta Gargiulo”, un antro collocato a 18 metri di profondità ed esteso tra i fondali, una grotta praticamente sommersa, con tanto di bolle d’aria a renderla meta per i soli professionisti del settore, tra subacquea e speleologia. E carica di mistero lo è per gli eventi storici che l’hanno interessata a colpi di incursioni musulmane, come l’epico assalto dei Turchi, capeggiati nell’estate del 1600 da Amurat Rays, corsaro di Algeri, che in quegli anni mettevano a ferro e fuoco l’intero Regno di Napoli: provarono a resistere gli abitanti locali, quelli dell’millenario borgo di Ajeta -il comune dell’epoca- ma la sorte riservò per loro prigionia e morte. La flotta dell’ammiraglio inglese William Sidney Smith, nel 1806, si stanziò nelle sue acque cercando di impedire all’esercito napoleonico di entrare nelle Calabrie; Gioacchino Murat, sei anni dopo, la ricomprese nel vasto movimento dell’eversione della feudalità sottraendola ai marchesi di Ajeta e restituendola al comune. Addirittura il re Ferdinando I di Borbone la trasformò in onorificenza conferendo nel 1815, nientemeno che al ministro plenipotenziario Tallyerand (tra i massimi protagonisti del Congresso di Vienna) il titolo di Duca di Dino. Sino alla notte di Santo Stefano del 1917 quando il sommergibile tedesco UB-49 pose fine alla navigazione del piroscafo inglese “Umballa”, partito da Karachi con il suo carico di orzo alla volta di Napoli. Nel 1962, l’Isola Dino Spa, società riconducibile al commendatore Bottani e a Gianni Agnelli, acquistò dal Comune tirrenico l’incantevole isola, l’unica, per dimensioni, esistente lungo le coste calabre, dopo che già nel 1956 era stata data in concessione per novantanove anni, allo scopo di valorizzarla turisticamente: proprio sulla celebre grotta del Leone, vide la luce un complesso formato dai caratteristici trulli, unitamente ad altre strutture ricettive. Senza dubbio l’ingresso del patron di casa Fiat nella proprietà dell’isola permise la predisposizione di un articolato progetto di valorizzazione turistica, capace di fare del gioiello praiese un luogo di incontro per un turismo elitario. Varie costruzioni videro la luce nella parte alta dell’isola, inserite in un più complessivo progetto organico di una delle aree più belle ed incontaminate dell’allora sconosciutissimo sud Italia: e non era difficile, durante il mese di agosto di quegli anni, veder ancorare, a sud-est dell’isola, una delle tante barche dell’Avvocato che apprezzava la purezza delle acque praiesi. Ma è la vita multicolore sottomarina, praticamente sconosciuta ai più, a lasciare estasiati: lungo il versante meridionale è possibile ammirare la “Grotta azzurra”, cavità di origine carsica, nota per il colore azzurro intenso dell’acqua: la limitata profondità delle acque (18 metri) la rende interessantissima per la presenza di incrostazioni spugnose sulle pareti e di anfratti che offrono ospitalità alla multiforme vita sottomarina, e restando fermi al centro della grotta è possibile ammirare nella penombra i giochi di luce dei raggi solari che vi penetrano. Dal costone esterno, ad ovest dell’isola, inizia la “navigazione” subacquea per circa 100 metri fino a raggiungere il “pianoro delle Gorgonie”, partendo da una piattaforma posta a 30 metri di profondità: lungo le pareti, dalle cadute laterali che scendono fino a 50 metri, si estende una straordinaria foresta di Paramuricee (le Gorgonie, appunto), che formano grandi ventagli di colore rosso-bordeaux, evidente alla luce dei fari, che possono raggiungere il metro di altezza; la particolarità di questa emergenza ambientale consiste in un’insolita colorazione, che può passare dal rosso al giallo-cromo, con tutte le sfumature evidenziate sulla matrice rossa centrale. Queste colonie di animali marini rendono l’immersione molto interessante e poco comune, specialmente per gli amanti della fotografia subacquea. E così, dai progetti turistici degli anni Sessanta targati Gianni Agnelli alla recente istituzione del Parco marino sino alla rapida fruizione comunale dell’isola, pochi metri di profondità bastano per rendersi conto che il mare è realmente di tutti, con la natura che assume le forme di vere costruzioni artistiche, pronta per essere immortalata dagli scatti di chi avrà la fortuna di ammirare il pianoro delle Gorgonie che lussureggiava sotto l’isola Dino ben prima che i Romani fondassero Roma.Pesci, crostacei, spugne, gorgonie, predatori nascosti, polpi, “fiori”, relitti tra i misteri del mare. Avvolti dal profondo blu…
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La storia d’Italia a colpi di romanzi
by Egidio Lorito on 21 Novembre 2024 at 16:30
“Specchi nei quali si riflette la Storia”. Ecco come l’autore definisce i romanzi che fanno da sfondo alla storia unitaria del nostro Paese: riescono addirittura a trasformarsi in fonti storiche utili a ricostruire tratti importanti della vita civile di una nazione. Utilizzando lo strumento letterario Gaetano Quagliariello nel suo ultimo “Storia d’Italia in dodici romanzi. Il racconto del Paese dall’unità al terrorismo” (1860-1980), Rubbettino 2024, analizza 120 anni della storia contemporanea dall’ Unità alla stagione terroristica. “Specchi nei quali si riflette la Storia”. Ecco come l’autore definisce i romanzi che fanno da sfondo alla storia unitaria del nostro Paese: riescono addirittura a trasformarsi in fonti storiche utili a ricostruire tratti importanti della vita civile di una nazione. Utilizzando lo strumento letterario Gaetano Quagliariello nel suo ultimo “Storia d’Italia in dodici romanzi. Il racconto del Paese dall’unità al terrorismo” (1860-1980), Rubbettino 2024, analizza 120 anni della storia contemporanea dall’ Unità alla stagione terroristica.Professore, potrebbe apparire singolare che uno storico utilizzi lo strumento letterario…«Consulto principalmente documenti d’archivio insieme ai saggi di colleghi, alle riviste, agli articoli di giornale: ma se poi aggiungiamo che la passione per la narrativa pari (o forse anche maggiore!) a quella per la saggistica di settore, sarà facile capire l’esito cui sono approdato. Senza dimenticare la continua osmosi con gli studenti, quelli del corso di storia contemporanea e quelli della Scuola di formazione politica della Fondazione Magna Carta: direi che la riflessione storica che è possibile cogliere da un certo numero di romanzi ha indicato la rotta da seguire».Ricostruiamo periodo storico e testi di riferimento!«Affronto tutte le tappe più importanti della nostra storia contemporanea, accompagnato da romanzi che questa stessa storia hanno segnato indelebilmente, dalla stagione risorgimentale agli anni bui del terrorismo. E così l’Unità è legata a Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il trasformismo ai Vicerè di Federico De Roberto, le vecchie ideologie a Il diavolo a Pontelungo di Riccardo Bacchelli, il lungo periodo bellico a Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, il fascismo a Almeno il cappello di Andrea Vitali e La Spartizione di Piero Chiara, il periodo bellico e postbellico a La Storia di Elsa Morante, la Resistenza a Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, il ritorno alla fase democratica a L’Orologio di Carlo Levi, la fine del secondo dopoguerra a Gli anni del giudizio di Giovanni Arpino, il periodo della crisi della politica a Todo modo di Leonardo Sciascia e il quindicennio tra protesta e terrorismo a Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi».Una bella rassegna letteraria, non c’è che dire! «So bene che molti altri titoli avrei potuto aggiungere, come Uscita di sicurezza di Ignazio Silone, Ferito a Morte di Raffaele La Capria e Petrolio di Pier Paolo Pasolini, ma già la rassegna proposta dà l’idea di come nella nostra letteratura contemporanea siano ben presenti opere in grado di legarsi indissolubilmente a tutte le fasi storiche prese in esame, che poi rappresentano esattamente i segmenti storici dal 1860 al 1980».Si tratta di una singolare operazione storico-letteraria…«Sono partito dalla riflessione che nel nostro paese si sia allargata la forbice tra la c.d. storia professionale e la scrittura della storia, perché nell’ultimo secolo la nozione di “storia” è stata analizzata esclusivamente dal punto di vista della “tecnica di ricostruzione storica”, diventando, in ciò, disciplina per i soli storici, prendendo perciò le distanze dalla maggioranza dei cittadini, dei lettori, degli interessati».Storico di professione con importanti cariche politiche. Non crediamo che le diverse prospettive siano separabili…«Il saggio spiega questo passaggio, perchè gli eventi storici sono, ovviamente, in buona parte eventi politici ed è giusto conoscerli e studiarli. Non vado lontano dalla realtà se affermo che uno dei motivi per cui la politica di casa nostra sia letteralmente scaduta sta proprio nell’ignoranza storica, cioè nella poca o assente conoscenza della disciplina di studio storico. Non è difficile rendersi conto di come la classe politica raramente faccia riferimento all’esperienza del passato, al bagaglio storico, alle esperienze pregresse. Questo è un male, o almeno, una cattiva abitudine».Storia e politica intrecciate, allora…«Se la politica è l’attività più intimamente legata con la vita umana, capace di proiettarne la sua essenza nella dimensione pubblica, ne deriva facilmente che da sempre la storia è stata considerata la scienza più vicina alla politica. E non è affatto casuale, nel momento in cui la storia come insegnamento e reputazione ha iniziato a declinare, che anche la qualità della politica abbia seguito la stessa via…».E’ stato naturale accostare storia e romanzi…«Lo ripeto: la forbice tra “storia professionale” e “storia narrata” si è allargata a dismisura e quest’operazione di parallelismo culturale credo possa servire a ridurre questo iato. Del resto tanto la disciplina storica quanto quella narrativa puntano dritto l’uomo come oggetto di interesse. Un legame indissolubile, un circolo naturale. Cito un’espressione dello storico francese Mark Bloch, secondo il quale “lo storico è come l’orco delle favole, va là dove sente odore di carne umana”».I romanzi facilitano la comprensione dei fenomeni storici? «E’ esattamente il senso che spero emerga dalla lettura delle pagine del saggio! Mi spingo anche oltre: i romanzi e la narrativa in genere, quando siano legati ad un preciso momento storico, potranno elevarsi addirittura a fonte privilegiata, per il semplice motivo che riescono a fornire una serie di elementi, tratti dalla vita quotidiana di un determinato momento storico, che non sempre è parimenti possibile dedurre da altre fonti documentarie. Pensiamo alla Rivoluzione francese: come non tenere a mente il romanzo Novantatrè di Victor Ugo, dedicato al periodo del c.d. Regime Terrore, iniziato nel settembre del 1793 e terminato nel luglio del 1794, dopo ben diciassettemila esecuzioni sulla ghigliottina!».Il raggio d’azione della sua ricerca è limitato al caso-Italia.«I percorsi di lettura suggeriti, come già evidenziati nei titoli proposti, li ha compiuti ovviamente uno storico che ha agito seguendo il metodo della capacità che il singolo romanzo abbia di collocare i lettori innanzi agli eventi nodali della storia del nostro Paese. Insomma non ho tenuto conto della qualità di un’opera, quanto piuttosto della loro trama intrecciata con determinati accadimenti storici: quest’ultimo è stato il requisito per la scelta delle opere. D’altronde non sono un romanziere!».Tra narrazione letteraria, eventi storici e sviluppi politici il legame sembra essere davvero stringente… «Si tratta dell’oggetto del libro, dell’analisi che ho seguito nella ricerca e della ratio più profonda che spero verrà compresa da chi si avvicinerà alla lettura di queste 180 pagine poste al confine esatto tra la storia come successione di accadimenti e la letteratura come trasposizione di quegli stessi fatti storici. Lo scopo del libro è tutto qui: rivisitare alcune storie narrate per scoprire e rendersi conto se effettivamente la Storia interagisca con la vita quotidiana».
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Auto in Europa: timida ripresa a ottobre (+0,1%). Volkswagen e Toyota avanzano e Stellantis soffre (-16,7%)
by Cristina Colli on 21 Novembre 2024 at 15:30
Il mercato europeo dell’auto riprende leggermente fiato in ottobre (+0,1%), ma siamo ancora ben lontani dal periodo pre-crisi. Aumentano le elettriche, bene (meglio) Germania e Spagna, mentre male per Italia e Francia, con Stellantis che segna un -16,7%.Secondo i dati diffusi dall’associazione dei costruttori Acea in ottobre le immatricolazioni sono state 1.041.672, segnando un marginale +0,1% rispetto allo stesso mese del 2023. Nel complesso, nei primi dieci mesi dell’anno, le immatricolazioni hanno raggiunto quota 10.821.299 unità, con un incremento annuale dello 0,9%, inferiore al +1% registrato nei primi nove mesi del 2024.A livello geografico, l’Unione Europea si distingue con un incremento dell’1,1%, seguita dall’area Efta (+2,5%). Male invece il Regno Unito, che arretra del 6%. Tra i principali mercati, la Germania mostra segnali di ripresa (+6% dopo tre mesi negativi) e la Spagna registra un incoraggiante +7,2%. Al contrario, Francia (-11,1%) e Italia (-9,1%) restano in sofferenza.Le auto elettriche confermano la crescita a ottobre con un +6,9% e 169.525 immatricolazioni, ma su base annuale i volumi sono in calo dell’1,7%. Le ibride plug-in, invece, continuano a perdere terreno: le immatricolazioni nell’UE calano del 7,2% rispetto a ottobre 2023, con una quota di mercato in discesa dal 8,4% al 7,7%. Anche i dati annuali sono negativi (-7,9%). Di contro, le ibride non ricaricabili continuano a brillare: a ottobre registrano un incremento del 17,5%, conquistando una quota di mercato del 33,3%, superando per il secondo mese consecutivo le auto a benzina.Tra i costruttori, Stellantis ha segnato un brusco calo (-16,7%), con 150.346 immatricolazioni e una quota di mercato scesa al 14,4%, dal 17,4% dell’anno scorso. La flessione è generalizzata tra i marchi del gruppo, con performance particolarmente negative per Fiat (-45,4%), Lancia (-79,3%) e Citroën (-31,3%). Solo Peugeot riesce a chiudere in positivo (+11,6%). Il gruppo Volkswagen, al contrario, registra un balzo del 12,6% grazie ai marchi Skoda (+25,5%), Seat (+47,4%) e Volkswagen (+17,4%). Anche il gruppo Renault si mantiene stabile (-0,4%) e Toyota continua la sua corsa positiva con un +13,7% a ottobre e un incremento annuo del 12,5%. Bene anche BMW (+0,8%) e Volvo (+22,5%), mentre Ford (-7,9%) e Hyundai (-7,5%) restano in difficoltà.Dopo due mesi negativi dunque una variazione positiva, ma marginale, e un’evidenza: la transizione verso la mobilità elettrica è in lieve e progressivo movimento.
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Rocco Papaleo canta l’inno alla liberta espressiva sabotando le inutili aspettative
by Rosita Stella Brienza on 21 Novembre 2024 at 14:47
“Ogni volta che lascio la Basilicata ripenso alle sue carezze. Di lei ci sono davvero tanti momenti carezzevoli, di quelli che mi confortano. Ma la carezza della mia memoria è la luce del primo sguardo al mattino. Quando il sole spunta da quella montagnola di fronte casa mia, c’è una luce splendida che inonda la Valle del Noce. Sono attimi delicati in cui si percepisce la presenza del mare alle spalle, senza vederlo. Ecco, per me, questo è uno dei momenti più confortevoli”. Rocco Papaleo, regista, attore e scrittore ha lasciato la sua Basilicata durante gli anni della giovinezza, ma adesso ama ritornarci. Ne parla nel suo libro Perdere tempo mi viene facile e, accordandosi a quella malinconica allegria tipicamente lucana, si racconta alla redazione di Panorama.it confidando che è arrivato il momento di liberare le sue velleità poetiche e musicali non solo attraverso il libro che ha scritto, ma anche attraverso il suo spettacolo teatrale “Esercizi di libertà”.Nel suo libro parla molto di sua madre e fa solo un accenno a suo figlio. Perché parla così poco di suo figlio?Il rapporto genitore figlio è straordinario. Dico sempre che bisognerebbe essere prima genitore e poi figlio per vivere i rapporti al meglio e capirne i valore. Amo moltissimo mio figlio e se parlo poco di lui è solamente perché preferisco non invadere la sua privacy, per questo dico l’essenziale senza dilungarmi. Essere padre mi ha fatto amare i miei genitori ancora di più. E’ un amore che ho compreso ancora meglio.Grazie a sua madre lei oggi è un uomo di successo. Fu lei a farle avere una chitarra…Ho condiviso molto con mia madre e anche con mio padre. Non ho fatto per lei quanto lei ha fatto per me, ma ho fatto il giusto: nel senso che non l’ho mai delusa. Però, ho sempre fatto la mia vita per me stesso. L’episodio della chitarra è curioso, insegna molto ai giovani. Ne parlo nel libro.Lei a un certo punto della sua vita ha scelto di raccontarsi in un libro, ci spiega cosa l’ha spinto a fare questo passo entrando nella sua intimità così profondamente?Il libro nasce dalla mia esigenza di raccogliere idee per renderle omogenee all’interno di un contenitore. Avevo voglia di offrire agli altri qualcosa di me, avevo voglia di aprirmi agli altri senza essere eccessivamente cronologico. Ho tirato fuori le cose che più mi piacciono. In molti pensano che sia un attore comico senza conoscere il resto. Ammetto di essere cambiato nel corso del tempo. Adesso posso raccontarmi liberamente per fare un inno alla libertà espressiva.A volte lei racconta episodi della sua vita privata e lo fa con molta naturalezza. Come riesce a essere così libero?E’ semplice. Ho anche un’età e non ho tanto da perdere. La mia vita l’ho fatta. Ho superato le incertezze, ho superato la fase in cui si rimane ingabbiati nelle aspettative o nel giudizio esterno. Credo di poter essere me stesso. E’ questa la ragione.Lei è cambiato molto professionalmente nel corso degli anniE’ così. Il teatro, il cinema, la musica, la scrittura sono la mia vita e vanno avanti con me. In questo periodo sto facendo un esercizio di libertà con il libro e con il mio spettacolo teatrale che si chiama, appunto: Esercizi di libertà. E’ uno spettacolo che porto in scena dal 19 al 23 dicembre, quindi 19 20 21 22 e 23, all’Auditorium di Roma.Il suo primo film da regista è Basilicata coast to coast. Come nasce questo film?E’ una lunga storia che racconto anche nel libro. Posso dire che attraversare a piedi la Basilicata, così come ho fatto nel film, mi faceva molta simpatia. E allora che ho immaginato la storia del film. La Basilicata l’ho scoperta a piedi e continuo a scoprirla ancora oggi. Se penso di aver visitato prima New York e poi Matera, giustifica il fatto che ora, più di sempre, mi piace scoprire i miei luoghi in tutte le loro pieghe.Nella sua autobiografia compaiono i QR code che rimandano alle sue canzoni. In questo modo si sente più vicino al lettore?In effetti, è un’autobiografia musicata di un meridionale in libera uscita e i QR code ne completano la lettura. Si possono ascoltare le mie musiche come per esempio Basilicata on my mind in cui confesso di essere nato in Basilicata e che la Basilicata esiste.In questi giorni sta incontrando i giovani per presentare a loro il suo libro. Pensa di incontrare i ragazzi di tutta Italia?I ragazzi sono il futuro. Un libro non è come il cinema. Un film è in sala per pochi giorni mentre un libro dura nel tempo. Farò un incontro con i ragazzi a Lauria, ma più avanti nel tempo se mi invitano nelle scuole italiane ci andrò volentieri.TUTTE LE NEWS DI LIFESTYLE
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Elezioni Figc, il giorno della verità è il 3 febbraio 2025
by Giovanni Capuano on 21 Novembre 2024 at 14:39
Il giorno della verità alla Federcalcio sarà il prossimo lunedì 3 febbraio 2025. E’ la data fissata dal Consiglio federale per le elezioni, risultato di un autunno di polemiche, contrasti e veleni che ha partorito il nuovo Statuto e generato, su impulso dell’emendamento Mulé, nuovi pesi elettorali e di governance nel palazzo del calcio italiano. Si vota a inizio febbraio, quindi gli schieramenti in campo hanno un paio di mesi per fare sintesi e presentare i propri uomini a partire dalla ricandidatura di Gabriele Gravina. La riserva annunciata nel mezzo dell’estate non è ancora stata sciolta, ma col passare delle settimane le possibilità che l’attuale numero uno si ripresenti sono cresciute.L’ultimo atto formale prima dell’indizione delle elezioni per il 3 febbraio è stato il via libera della Giunta del CONI alle nuove regole che la Federcalcio si è data, non senza fatica. Resta da capire lo sviluppo della spaccatura che si è creata all’interno della Lega Serie A dove una maggioranza di club ha prima scelto la strada dell’astensione e non del voto contrario nell’assemblea di novembre in cui è passato lo Statuto modificato, e poi ha messo per iscritto la volontà di non procedere a ricorsi ulteriori chiudendo di fatto la stagione della contrapposizione muro contro muro con la Figc.Un atto che non esclude la possibilità di ricorsi da parte di una singola società o di un gruppo di esse, ma che ne limita il perimetro e l’impatto politico. Anche per questo è molto probabile che Gabriele Gravina, al centro anche di una vicenda giudiziaria il cui ultimo atto è stato il nuovo no del Tribunale del Riesame al sequestro di 140mila euro dai suoi conti, scelga di candidarsi nuovamente forte non solo di una maggioranza nelle urne che gli deriva dalla base del movimento, ma anche del gradimento di una parte del massimo campionato.Le prossime settimane saranno, però, intense e decisive. Intanto si giocherà l’ultima partita in seno alla Lega Serie A, anch’essa attesa al voto nel 2025. Poi andranno valutati eventuali nuovi sviluppi della questione giudiziaria. La strada, però, sembra tracciata. Quando si andrà alle urne il 3 febbraio i pesi elettorali saranno quelli disegnati dalle nuove regole. La Serie A passerà da 3 a 4 consiglieri federali con un peso che sale dal 12% al 18%. La Serie B raddoppierà da 1 a 2 (e dal 5 a 6%), la Lega Pro avrà un solo consigliere e non più due (peso elettorale scende dal 17 al 12%) mentre resteranno senza variazioni la posizioni della Lega nazionale dilettanti (6 consiglieri e 34%), dell’Assoallenatori (2 consiglieri e il 10%) e dell’Assocalciatori (4 consiglieri e 20%). Fuori gli arbitri che avevano il 2% residuo ed esprimevano un consigliere federale.TUTTE LE NOTIZIE DI CALCIO SU PANORAMA
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Boom di Nvidia: l’AI spinge i conti ma non il titolo. Utili e ricavi record
by Cristina Colli on 21 Novembre 2024 at 14:32
L’Intelligenza Artificiale resta regina a Wall Street. Lo dimostrano i risultati di Nvidia che ha fatto il pieno di ricavi e utili, ancora. Terzo trimestre del 2024 chiuso oltre le attese con profitti raddoppiati e fatturato in rialzo del 94%.Nvidia continua a cavalcare l’onda dell’intelligenza artificiale. I ricavi del terzo trimestre dell’anno sono saliti così a 35,1 miliardi di dollari (+94% rispetto allo stesso periodo del 2023) e il profitto netto è più che raddoppiato a 19,3 miliardi di dollari. Numeri che superano di gran lunga le previsioni degli analisti, che stimavano un fatturato di 33,1 miliardi e un utile di 17,4 miliardi.Tuttavia, nonostante questi traguardi, le azioni del colosso californiano dei semiconduttori hanno subito una flessione nelle contrattazioni post-mercato, perdendo circa il 2%. Una reazione attribuibile alle previsioni per il quarto trimestre, considerate al di sotto delle aspettative più ottimistiche. Nvidia ha stimato ricavi per 37,5 miliardi di dollari, con un margine di variazione del 2%, segnando un incremento del 70% su base annua. Sebbene impressionante, si tratta di un rallentamento rispetto ai precedenti trimestri, in cui la crescita dei ricavi aveva superato il 200%.Nvidia domina l’80% del mercato dei chip per l’AI, utilizzati in applicazioni cruciali come ChatGPT e sistemi di intelligenza generativa. Tra i segmenti chiave, i data center continuano a guidare la crescita, con un fatturato di 30,8 miliardi di dollari (+112% su base annua). Altri settori, come il gaming e l’automotive, contribuiscono con 3,28 miliardi e 449 milioni rispettivamente.Nonostante il rally di oltre il 200% dei titoli Nvidia dall’inizio del 2024, il mercato rimane cauto. Le aspettative elevate degli investitori e l’aumento della concorrenza da parte di giganti come Google e Amazon, che sviluppano chip proprietari per ridurre la dipendenza da Nvidia, contribuiscono a un clima di incertezza. La pubblicazione dei risultati finanziari di Nvidia è coincisa con l’avvertimento della Banca Centrale Europea sul rischio di una bolla tecnologica guidata dall’intelligenza artificiale. Secondo il report, i mercati azionari, soprattutto negli Stati Uniti, dipendono in modo eccessivo da un ristretto gruppo di aziende tecnologiche, con Nvidia in testa.
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La Meloni rafforza la sponda con Milei (e Trump)
by Stefano Graziosi on 21 Novembre 2024 at 14:16
L’Italia rafforza i rapporti con l’Argentina. Giorgia Meloni è infatti stata ricevuta da Javier Milei alla Casa Rosada. E, nell’occasione, il presidente argentino ha invocato una coalizione di nazioni libere.“Tutte le nazioni che hanno obiettivi comuni possono lavorare insieme, collaborando”, ha detto. “Non solo Italia e Argentina, ma anche altri Paesi del mondo libero che condividono nostri valori. Un’alleanza di nazioni libere unite contro la tirannia e la miseria”, ha proseguito, per poi concludere: “Occorre che difendiamo la libertà. Anche se siamo pochi, facciamo luce e apriamo il cammino, perché, come dico sempre, la vittoria e la guerra non dipendono dalla quantità dei soldati, ma dalla forza che viene dal cielo”. “Quella tra me e il presidente Milei è anche una condivisione politica, e la condivisione politica tra due leader che si battono per difendere l’identità dell’Occidente, i punti cardine della sua civiltà, la libertà e l’uguaglianza delle persone, la democraticità dei sistemi, la sovranità delle nazioni”, ha affermato la Meloni. Ricordiamo che sia il nostro presidente del Consiglio sia Milei hanno assestato un duro colpo alla Repubblica popolare cinese: la Meloni non ha rinnovato il controverso memorandum sulla Nuova via della Seta, mentre il leader argentino ha bloccato l’adesione di Buenos Aires ai Brics.Già gran parte della stampa sta dicendo che Milei, nel suo incontro con l’inquilina di Palazzo Chigi, avrebbe invocato una “internazionale sovranista”: espressione che ogni tanto riemerge, con connotazione evidentemente dispregiativa, e risalente ai tempi di Steve Bannon. In realtà, stavolta la situazione è un po’ più complessa.Il presidente argentino è uno stretto alleato di Donald Trump. Quel Trump che, già durante l’ultima campagna elettorale, ha tessuto rapporti con vari leader internazionali: dal premier ungherese Viktor Orban al presidente polacco Andrzej Duda, passando per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Non solo. Trump gioca storicamente di sponda anche con Nigel Farage e intrattiene legami con alcuni pezzi dei Tory britannici. Inoltre, al di là di Milei, ha buoni rapporti anche con la stessa Meloni, che vanta a sua volta significativi legami con quell’Elon Musk che si avvia a rivelarsi una figura chiave nella nascente amministrazione statunitense. Insomma, quella che va delineandosi non è un’“internazionale sovranista” ma una rete di capi di Stato e di governo che, tessuta nel tempo da Trump, ha come chiaro obiettivo quello di formulare una linea politica alternativa al progressismo. In questo senso, la sponda con Milei è utile alla Meloni per rafforzare i propri rapporti con il presidente americano in pectore. Uno scenario, questo, che potrebbe consolidare il ruolo di Roma non soltanto in seno all’Unione europea ma anche nel Mediterraneo.Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz sono infatti sempre più deboli dal punto di vista politico, mentre il ritorno di Trump alla Casa Bianca offre maggiori margini di manovra a Ecr e Patrioti. Dall’altra parte, Trump, giocando di sponda con Netanyahu e bin Salman, punta a ripristinare la logica degli Accordi di Abramo: accordi che potrebbero essere estesi anche al Maghreb. Una simile eventualità renderebbe centrale la Meloni che, soprattutto nell’ambito del Piano Mattei, potrebbe assumere un importante ruolo di mediazione diplomatica.
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Non solo Sinner, il tennis in Italia è una fabbrica di soldi
by Giovanni Capuano on 21 Novembre 2024 at 14:07
La storia riscritta a colpi di vittorie non è l’unico sintomo dell’età dell’oro che il tennis italiano sta vivendo. Sinner ne è la punta di diamante, dietro di lui c’è un movimento agonistico mai così florido, neanche nei periodi del boom degli anni Settanta e Ottanta o, nel caso delle donne, dell’epoca vincente a cavallo degli anni Dieci del nuovo millennio. Motori straordinari di un sistema che è diventato in Italia una macchina da soldi e tesserati capace di mettersi in scia al calcio scavalcando per interesse anche pallavolo e pallacanestro, per definizione gli sport più praticati anche perché più diffusi a livello scolastico.L’effetto Sinner, prima di lui Matteo Berrettini, e l’effetto Paolini si fanno sentire. Prendere penna e quaderno per annotare le cifre: uno studio recente di Boston Consoulting Group ha stimato in 18,1 milioni gli appassionati di tennis e padel, la moda crescente fino a ieri prima di essere di nuovo soppiantata dal tennis vero e proprio. Di questi, uno su tre (6,5 milioni) sono praticanti e circa un milione tesserati dalla federazione che registra un trend in crescita costante se è vero che solo a fine 2023 le tessere staccate erano 820mila e i primi sei mesi del nuovo anno sono stati un boom pazzesco.A beneficiarne sono tutti, lavoratori diretti del settore (BCG ne ha contati 57.541) e un indotto fatto di attività che ruotano intorno a una disciplina per nulla a buon mercato. Abbigliamento, attrezzatura e possibilità di accedere a strutture e corsi non sono storicamente alla portata di tutti, anche se la Federazione ha fatto molto negli ultimi anni per accompagnare il ritorno ai successi dei campioni con una capillare attività di sensibilizzazione e diffusione tra i più giovani.In ogni caso l’industria del tennis e del padel vale ormai quanto una Finanziaria: 8,1 miliardi di euro. E restituisce allo Stato molto più di quanto riceva. Nel 2022 ha versato tributi e oneri per 1,2 miliardi di euro avvicinandosi a sua maestà il calcio che ha più appassionati (21,9 milioni) e praticanti (7,9), ma soprattutto è ancora in grado di sviluppare un giro d’affari nettamente superiore. Per ora. Dopo un decennio di Sinner, si vedrà.Jannik è una macchina da soldi prima di tutto per se stesso, poi di riflesso per il movimento. Il numero uno dei tennis mondiale ha vissuto un autunno da sogno: solo limitandosi alla ricca esibizione di Riyadh e alle ATP Finals di Torino ha intascato 10 milioni di euro in premi in poco più di due settimane. Il database dell’ATP gli riconosce un prize money ufficiale per il 2024 di 16.914.035 dollari (16,06 milioni di euro) e uno globale in tutta la giovane carriera di 33.989.584 dollari. Tra sponsor e partnership varie, però, il totale annuo dovrebbe essere superiore ai 50 milioni di euro.Anche per questo Federazione e Torino hanno scommesso tutto per mantenere in Italia le ATP Finals anche oltre la scadenza del precedente contratto, fissata nel 2025. L’ultima edizione, quella vinta da Sinner, ha fatto registrare 210mila presenze nonostante i prezzi dei biglietti tutt’altro che favorevoli, con un indotto da oltre mezzo miliardo di euro creato e lasciato sul territorio. Il Governo ha garantito i fondi per convincere l’ATP ad arrivare almeno fino al 2030, se solo a Torino o anche a Milano sarà materia di dibattito politico e sportivo successivo alle Olimpiadi invernale del 2026.Di sicuro, per, anche nei palazzi romani hanno fatto bene i loro conti e si sono accorti che il tennis è una gallina dalle uova d’oro anche per il pubblico, non solo per i privati. Le Finals torinesi hanno consentito di moltiplicare per cinque ogni singolo euro anticipato dallo Stato sotto forma di finanziamento per l’evento. Anche per questo il governo Meloni non ci ha pensato due volte ad affiancare il presidente federale Binaghi nella sua battaglia contro i petrodollari del deserto saudita. Ogni pallina che viene giocata è un punto vincente. Impensabile solo pochi anni fa.
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Miraggi politici: tutti al centro che non c’è
by Antonio Rossitto on 21 Novembre 2024 at 13:30
Sognava di essere come il Jep Gambardella de La grande bellezza, che si compiace dei suoi controversi intenti: «Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire». Ma Matteo Renzi ha perso pure il residuale potere di interdizione. A quelle feste non lo invitano più. E quando tenta di imbucarsi nel sedicente campo largo, viene perfidamente allontanato. Povero Matteo, già premier e aspirante rottamatore. Quest’estate s’era illuso. Aveva indossato speranzoso gli scarpini da calcio, per la partita del cuore tra politici e cantanti. Non era andata malissimo: assist in fuorigioco alla leader del Pd, Elly Schlein, seguito da un caloroso abbraccio. All’opposizione, che diamine, ci sarebbe stato posto anche per lui: il funambolo centrista che, a furia di dribblare, s’era ritrovato solo in campo. Invece, i pentastellati di Giuseppe Conte e i sinistroni di Nicola Fratoianni l’hanno messo alla porta. Già, povero Matteo. «Non saremo un partito del 5 per cento» prometteva mentre lanciava nell’agone la sua Italia viva, che adesso si gingilla attorno a un impietoso due per cento. Scriveva trepidante: «Una frase di Robert Frost citata in un altro film, L’attimo fuggente mi ha sempre fatto compagnia nei miei anni da boy scout. “Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso”». Ma la poetica citazione è diventata un epitaffio. Quel sentiero è ormai un vicolo cieco. La ricerca del centrino perduto è finita. Anni di vagheggiamenti, fino alla resa.Eppure, il mitologico spazio che avrebbe scardinato il deleterio bipolarismo sembrava l’Eldorado politico. A contenderselo, oltre a Renzi, c’era Carlo Calenda: il Churchill dei Parioli, padre padrone di Azione. I due egotici capi partito hanno perfino tentato di creare il terzo polo, durato poco più di un tormentato annetto. Al debordante Carlo erano rimasti almeno gli ex fuoriclasse forzisti, che aveva incantato per infoltire le sue chiccose truppe: le ex ministre berlusconiane Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, la deputata Giusy Versace e l’ultragarantista Enrico Costa. I navigati parlamentari erano diventati i più illustri esponenti del partito, dopo il fondatore s’intende. Adesso lasciano il leader terzista al suo confuso destino. «Il Pd è un fritto misto, ci puoi buttare dentro di tutto, qualsiasi cosa sta bene» svelena difatti Calenda. Anche a lui, però, tocca fare il totanetto. Offre dunque il suo modesto contributo alla causa, appoggiando i tre candidati dem alle ultime regionali in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna.Costa torna con gli azzurri. Mentre le tre parlamentari convergono su Noi moderati di Maurizio Lupi, diventato il centro di gravità permanente dei disillusi. Un fuggi fuggi che favorisce la maggioranza sia alla camera sia al senato: non solo numericamente, ma anche visto il peso in aula dei figli prodighi. Ma pure Italia viva continua a decomporsi: dopo l’ex ministra Elena Bonetti, lascia il vivace economista Luigi Marattin, assieme un gruppo di duecento dirigenti. Tutti contrari alla disperata rincorsa di Renzi verso il campo largo. Coerentissimo, invece, l’ex coordinatore nazionale, Ettore Rosato, diventato vice presidente di Azione. Intanto, Matteo e Carlo, incuranti dello sprofondo, continuano a dileggiarsi. «Calenda ha iniziato a distruggere il terzo polo e ora distrugge Azione» gongola uno. «Renzi è un buffone» sancisce l’altro. Travolti da un identico destino nell’azzurro mare centrista. E non solo politicamente. Fino a due anni fa, i due partiti incantavano imprenditori e sostenitori, facendo incetta di finanziamenti. Tra agosto e settembre 2022, per esempio, Italia viva aveva infranto ogni record: quasi 1,4 milioni di donazioni. Traguardo simile per Azione: nello stesso periodo, quasi 1,3 milioni. Nell’elencone c’erano alcuni tra i più bei nomi dell’economia italiana. Da Patrizio Bertelli, che aveva versato 50 mila euro, a Pierluigi Loro Piana, 65 mila euro. E poi Guido Maria Brera, Marco Tronchetti Provera, Ermenegildo Zegna, Renzo Rosso, Davide Serra, Lapo Rattazzi. Insomma: ai due partitini erano arrivati 2,7 milioni di euro in appena due mesi. Magre percentuali e magre figure devono però aver convinto i munifici finanziatori a desistere. L’ultimo rendiconto di Italia Viva dettaglia: nel 2022 aveva raccolto, tra donazioni private e aiuti arrivati da alcune società, quasi 2,3 milioni di euro. Il totale, l’anno scorso, s’è invece fermato a 497 mila euro: meno 78 per cento. Sfacelo simile per Azione, passata da 2,2 milioni a 542 mila nello stesso periodo. La pacchia è finita. Chi spunta allora tra Renzi e Calenda, come alfiere del centrino progressista? Un altro dall’ego sconfinato: Beppe Sala. Anche nel suo caso, il meglio è decisamente alle spalle: il sindaco di Milano fronteggia un gradimento calante dei cittadini, tra la criminalità che dilaga, le inchieste sulle concessioni edilizie e il controverso eco-furore. Il suo mandato scade nel 2026. Nell’attesa, Sala chiarisce: una superba riserva della patria come lui non può che diventare leader nazionale. L’alta considerazione di sé non collima però con gli spietati giudizi dei contendenti. «Se vuole dare una mano, superando le precedenti sbandate, è il benvenuto», lo liquida il solito Renzi. Dall’alto dei suoi roboanti insuccessi, ricorda perfidamente i fallimentari precedenti del sindaco, che aveva già tentato di guidare i verdi italiani e poi un’ipotetica formazione post grillina. Ora, bisogna essere onesti: Matteo scansa gli elettori come birilli, ma a chiacchiere resta insuperabile. In effetti, i trascorsi di Sala non sembrano il miglior viatico per capeggiare il famigerato centro dell’ammaccata sinistra. Un ruolo ambitissimo, per cui ci sono più aspiranti che elettori. Renzi, Calenda e Sala sono ineguagliabili talenti. Resta un odioso impedimento alla loro ascesa: i voti. Due per cento, o giù di lì. Vedi le regionali liguri, appunto. Italia viva s’è dovuta ritirare dalla competizione, vista l’avversione di grillini e sinistra. Mentre Azione, pur affiancata da altre quattro scintillanti sigle, ha raccolto uno striminzito 1,75 per cento. Fare il ruotino di scorta, a dire il vero, non ha entusiasmato nemmeno gli eletti renziani e calendiani: da Genova a Catania, lasciano i moribondi al loro gramo destino.Più feconda, sebbene altrettanto caotica, pare invece la ricerca del centrino perduto nella maggioranza. Certo, anche qui non si fa incetta di preferenze. L’eredità della Dc se la sono spartita un po’ tutti. Ma adesso è proprio Fratelli d’Italia a spingere per allargare la maggioranza, tanto da aver già lanciato Lupi per la corsa a sindaco di Milano. Indicare il possibile successore di Sala sembra già ostico per la sua coalizione. Probabilmente, si sceglierà il candidato sindaco con le primarie. In lizza, oltre al giornalista Mario Calabresi, ci sarebbe anche il capogruppo regionale del Pd, Pierfrancesco Majorino.Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, approfitta del momento e lancia proprio Lupi. Noi moderati ha già federato l’Udc di Lorenzo Cesa. Mentre rimangono per adesso autonome altre sigle nate sempre per evocare la balena bianca. La battaglia ideale s’è trasformata in contesa giuridica, per riconquistare il mitico simbolo scudo crociato, tra le redivive Dc: quella di Totò Cuffaro, ex governatore in Sicilia, dove peraltro resta decisivo, e quella di Gianfranco Rotondi, deputato eletto con Fratelli d’Italia. «Deponiamo le armi e conferiamo tutti i nostri diritti reali o presunti alla Democrazia Cristiana, consentendole di rinascere col proprio nome e il proprio simbolo storico» annuncia Rotondi. E poi c’è Alternativa popolare, dell’assai meno ecumenico Stefano Bandecchi, scoppiettante sindaco di Terni. Il partito s’è alleato con il centrodestra. Era del felpatissimo Angelino Alfano. Ora è in mano all’incontenibile Bandecchi. Un moderato? Macché. «Il moderatismo è la fine della politica vissuta con il cuore» spiega l’interessato. Si definisce «rivoluzionario», piuttosto. Anche lui al centro, comunque. Tra inguaribili nostalgici della Prima repubblica e devoti sgranatori di rosario.